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La poesia è sempre stata paragonata alla musica. Le parole alle note dove il suono che producono è l'accostamento dei pensieri che si attorcigliano e come rampicanti si rincorrono. La poesia va gustata e la poesia di Marilina Ciociola, giovane autrice pugliese alla sua seconda esperienza letteraria, è poesia di vita a doppio strato. L'introduzione di Teresa La Scala ci immerge subito con un'analisi attenta nella raccolta di poesie "Homo Ridens". La poesia emerge come denuncia di una realtà incellofanata e di una vita che non ha paura del dolore. L'andamento delle poesie è come lo sciogliere di un linguaggio. Non c'è da decifrare un codice ma al contrario l'autrice dispiega sentimenti contrastanti. Ci si accosta alla campana di vetro che si infrange senza tagliarsi. Ci si fa coinvolgere dai sogni adolescenziali che sono punti esclamativi. Ci si sdraia per vedere le stelle e il cambiare viene percepito come un nuotare controcorrente avendo sassi al posto dei piedi e pinne come ali. C'è la nebbia da oltrepassare che non confonde e non ostacola, ma rende partecipe il lettore della duplice dicotomia assai preziosa per poter emergere dalla propria condizione. La vita seppur dura è finalizzata a scoprire una parte del proprio essere, del mondo, del padrone che ci sta accanto. La pena è sviata, colpisce ma si affievolisce per quella costanza che si cuce attraverso i versi. Una forma di lotta senza ribellione. Le ferite sono già aperte e non marce, versi di un accostamento nuovo, capaci di genere un antibiotico naturale per potersi tirar fuori dalle vite degli altri. La poesia di "Homo Ridens" è soprattutto speranza e non denuncia di una condizione che non può essere cambiata. Accarezza volti e nodi ma niente è immobile. Tutto muta. La mancanza è un vento tiepido d'estate e la vita è un giro avvitato in senso antiorario. La poesia non è imbrigliata in canoni, è il parto di una bolla che non si rompe.
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