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Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2018
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Sezionare la dolcezza di un delirio e farne musica epistolare, graffiarsi fra i rami del passato, fra padri nobili e robusti e le loro voci autorevoli, fra i rintocchi di un'infanzia mai volata via, cedere a una condizione solitaria contro ogni invito a farsi incontro, abitare se stessi, la parola come intralcio e libertà al tempo stesso, sotto la coltre di un destino che divora, pesa e che in fondo tocca accettare, come si accettano un dito storto o una ruga che si affaccia presto, o un cuore nato per battere un canto raro. Questi sono i libri che amo, nati da un dentro romanticissimo, folle e tenerissimo, imprendibile nei suoi strati primi, e lasciati lì come alla ruota di un ideale convento del sentire per paura quasi o per eccesso di pudore, figli quasi non voluti da un autore che li ha troppo sofferti. Tocca a noi allora amarli nel ludibrio di un mondo che li scansa, li emargina, farcene custodi migliori, perché essi contengono le lontananze della nostra voce,il chicco che colma il nostro spazio interiore, la traccia del difforme nell'esatto, la fodera del giusto,del magnifico che ahimè accoglie in sé ogni inatteso della vita; insomma, quella regale solitudine che fa del lettore il Vero traduttore interiore di ogni nodo sulla pagina.Capolavoro di buio e ipocondria,un destino isolato,chiuso nel suo guscio sapiente e malato(forse sapiente proprio perché malato...)che spedisce lettere a un'enigmatica donna,forse un sogno o un luogo del suo spirito,delle sue liriche contrarietà ad ogni cosa,di un sé che ha bisogno di un fuori, di una voce,ma che finisce poi per riavvolgersi nelle sue mura solitarie come in un sonno dell'agire,come se avesse capito tutto, e quel tutto fosse chiarissimo e lui l'avesse nei pugni,la misera condizione umana che è quasi sempre volto di patimento e quasi mai una linea di sollievo.Questi sono i libri unici,i libri che sfondano le porte dell'ovvio e seminano grandezza in ogni riga che gli dimora dentro.Dicono la felicità d'essere malati.
Sette lettere pseudo-autobiografiche che il protagonista scrive a una illuminata e colta Principessa, raccontandole del proprio esistere fuori dal mondo, ossessionato da fantasmi mentali e paure, idiosincrasie ed esaltazioni improvvise: ma soprattutto straziato da una misteriosa malattia, il “morbus lexis” (una sorta di catatonia cerebrale, derivata dall’infiammazione delle “terminazioni nervose pre-sinaptiche”) che gli impedisce di leggere, o anche solo di avvicinarsi fisicamente alla carta stampata. “L’Illettore” vive recluso in uno scantinato, senza rapporti con il prossimo, comunicando epistolarmente con la nobile dama, che vive nello sfarzoso castello di Blankenburg. In tono sarcasticamente reverenziale e beffardamente rispettoso, illustra alla sua amica di penna la propria esistenza amorfa e sprecata di recluso, in passato gran divoratore di libri al punto da diventare egli stesso una lettera dell’alfabeto: all’invito di lei a trasferirsi nel suo castello come esperto bibliotecario, confessa orgogliosamente di volersi accontentare di una conversazione epistolare «elisia e sferica e serafica ed eolica». Il turbinoso e caleidoscopico monologo del protagonista si nutre di citazioni letterarie, ma anche di considerazioni sull’attualità, e di descrizioni paesaggistiche dei panorami montuosi della Svizzera interna, supportate da un’approfondita conoscenza delle scienze geologiche. Le sue divagazioni narrative si avvolgono a spirale, in una scrittura fagocitante, che esibisce uno sfoggio di erudizione compiaciuto e ironico nell’affrontare gli argomenti e le discipline più varie, per tornare sempre al tema principe: la letteratura. L’amore per il libro, inteso anche come oggetto di culto e da collezione, sovrasta ogni altra passione: l’Illettore vive di memorie librarie, e forse proprio grazie ad esse, in conclusione del volume, riuscirà a ritrovare la salute e la capacità di uscire dalla sua tana: «Mi darò da fare, voglio provarci».
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