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scheda di Valera, G., L'Indice 1994, n. 3
Una psicoanalista e un filosofo curano il volume, nel quale da prospettive diverse (autori dei saggi sono storici, filosofi, psicoanalisti, sociologi e persino un fisico teorico) sono presentati fasi e aspetti del processo di civilizzazione con le categorie che lo riflettono, "civiltà" e "cultura", umanità, 'politesse', costume, virtù, prudenza, 'Bildung', socievolezza. L'introduzione legge la storia delle tensioni fra 'Civilisation' (come affermarsi della razionalità tecnico-scientifica, nel suo senso peggiorativo) e 'Kultur' all'interno di due tradizioni, risalenti l'una a motivi della filosofia ellenistica (gli uomini sono definiti da rapporti politici intesi come naturali), l'altra all'elaborazione cristiano-medievale (con riferimento alla dimensione interna dell'uomo). Tale riduzione non rende conto della ricchezza dei risultati offerti dai singoli saggi ed evidenzia più le difficoltà del metodo proposto - la semantica storica tesa a ricostruire nella lunga durata la struttura interna della civiltà europea - che la sua adeguatezza alle esigenze complesse dell'indagine.
Nei saggi si riconoscono invece topiche che hanno assunto esse stesse rilevanza categoriale fondando l'impianto metodologico delle ricerche relative: il tema del conflitto e dei suoi modi di risoluzione, indagato per il mondo antico attraverso l'interpretazione del mito, con riferimento alla costituzione della città (Montepaone, Albarella) e alla costruzione del soggetto nella tensione fra identità ed enigma (Albarella, Donadio); le questioni del passaggio dalla società di ceto a quella borghese, nonché, idealmente, da questa a quella cosmopolita di impronta kantiana (Pirillo); il tema della critica del concetto stesso di borghesia come non ceto nel problematico contesto del dibattito storicistico (Albarella); la dimensione antropologica assunta dal 'droit politique', a partire da Hobbes, come chiave di volta di tutta la riflessione moderna sull'uomo, che, passando per il tema dell'ingresso nello stato, implica in realtà la questione del rapporto fra artificio e natura. Una parte del libro indurrebbe a convertire la domanda sull'incognita del soggetto in quella sul ruolo della scienza (artificio, razionalità) e della politica (il luogo della sua concreta possibilità di espressione) nel processo della civiltà. L'ampio settore del volume improntato all'utilizzazione di categorie psicoanalitiche (saggi di Albarella, Donadio, Riverso, Musto, Rustin, Petrelli, Wheler) enfatizza però l'analogia strutturale fra il discorso analitico e i grandi miti tragici come rappresentazione della contraddizione dell'essere e dell'illusorietà delle pretese della ragione.
Il volume consegna quindi intatta al lettore l'aporia del moderno, che già il maturo Diderot, scisso fra ragione e natura, fra utopia e riforma, aveva riconosciuto (Imbruglia). L'identificazione fra razionalismo e modello tecnico-scientifico, l'opposta utopia naturalistica, i diversi indirizzi antirazionalistici e antiscientifici rivelano drammaticamente il pensiero di una storia nella quale il soggetto e la scienza appaiono non solo sconosciuti, ma assenti.
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