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Questo lungo racconto mi ha richiamato atmosfere da viaggiatore, lasciate nella memoria dalla lettura di Chatwin e di Kerouac. Eppure qualcos'altro mancava, alla fine, per capire il sapore che pervade soprattutto l'ultima parte di questo che è in fondo un diario ragionato. Erano i miti affettivi celebrati da De Amicis, il richiamo a valori sempre attuali e inviolabili, l'amore fraterno, la famiglia, l'amicizia senza se e senza ma, la religiosità spontanea. Un breve viaggio reale, alla ricerca delle radici familiari da una grigia e fredda Milano ad un rigoglioso e caloroso piccolo borgo della Romagna. Un lungo viaggio, sospeso tra l'onirico e l'immaginario, nel cuore di un'Africa, dilaniata dalla guerra civile. E poi la sintesi finale dei due percorsi, in una celebrazione dell'amore e della vita che ci fanno capire come lo scrittore/protagonista in realtà ha fatto del racconto il suo viaggio interiore, esplorativo e terapeutico, per darsi risposte che servivano a rimettere a posto pezzi di un puzzle personale e per trovare motivazioni che facciano riflettere tutti su una verità scomoda: "L'inferno non ha nuvole", perché l'inferno non ha latitudine, né longitudine; è quel posto inospitale, cruento e assassino che assomiglia tanto al deserto del Kalahari e per attraversarlo bisogna avere fede in se stessi ma anche un ideale e dei sentimenti che riescono a vincere la fame, la paura e il senso dell'abbandono. E quell'inferno non è lontano da nessuno di noi.
Federico Fabbri nel suo nuovo libro ci torna a parlare di quegli argomenti che ormai i suoi lettori conoscono: l’amicizia e la diversità ma lo fa in una storia avventurosa che si svolge tra l’Italia e l’Africa. Il romanzo “L’inferno non ha nuvole” può essere suddiviso in due parti: in una si parla di Santa Sofia e della Romagna da cui traspare il legame dell’autore con la propria terra e le proprie origini. Santa Sofia si impara a conoscerla per la sua accoglienza e calore, un piccolo paese che accoglie chi è straniero di quei luoghi invitandolo a farne parte integrante coinvolgendolo nelle varie tradizioni e abitudini. Il piccolo paese quindi è metafora di apertura, condivisione e collaborazione e non come spesso accade di chiusura. Da questa prima parte introduttiva e tranquilla si passa a un racconto più avventuroso in Africa e precisamente nel deserto del Kalahari dove a guidare il protagonista saranno l’istinto di sopravvivenza, il desiderio di riabbracciare la propria famiglia e l’amicizia con due indigeni. Il protagonista del romanzo è lui stesso: Federico che inizialmente rende omaggio al suo amico scomparso in un tragico incidente descrivendolo parte integrante del romanzo. La scrittura è semplice e scorrevole. Ho apprezzato molto le descrizioni del deserto, del cibo e degli indigeni. Sembrava davvero di essere lì. Leggendo questo libro ho anche avuto la possibilità di approfondire alcuni temi e conoscere nuovi argomenti. Il titolo del romanzo è senz’altro una metafora. Per me l’inferno in questo racconto può essere il deserto perché come dice lo stesso autore: “Non ci sono nuvole nel cielo africano nessun paradiso solo un inferno sotto una terra che brucia.”
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