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Descrizione


Il fascismo fu razzista per vocazione o per convenienza? Le leggi razziali del 1938 furono l'esito di un'ideologia autoritaria spinta al suo estremo dalla disumanizzazione della "guerra civile europea" o l'approdo inesorabile di un movimento impegnato nella realizzazione di un progetto totalitario di conquista della società e di eliminazione genocidiaria dei nemici? Dopo un lungo silenzio - quasi una rimozione - la cultura italiana si sta da qualche tempo applicando per trovare risposta a questi interrogativi, cercando in particolare di chiarire le responsabilità che un intero paese ebbe, a diverso titolo, nella promozione e nel sostegno di una cultura antisemita. In questa prospettiva, cruciale fu il ruolo svolto dagli intellettuali: un ceto sempre strategico nella formazione dell'opinione pubblica, ma decisivo in un regime autoritario. Nel libro confrontano i loro diversi orientamenti, autorevoli studiosi dell'antisemitismo e della cultura italiana nel Ventennio.
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Dettagli

2008
12 novembre 2008
240 p., Brossura
9788831796354

Voce della critica

A settant'anni dalla promulgazione delle leggi razziali del 1938 sono molte le pubblicazioni succedutesi nel corso di un anno, durante il quale la comunità scientifica, in ciò sollecitata forse anche da certa committenza politica, ha dedicato corposa attenzione all'antisemitismo italiano. Il volume, per la curatela di Roberto Chiarini, raccoglie gli atti del convegno dedicato all'intellettuale antisemita, tenutosi nel 2006, e di cui sono pervenute una decina di relazioni. La vexata quaestio intorno alla quale i relatori sono stati chiamati a pronunciarsi riguarda la natura del razzismo antiebraico del regime mussoliniano, ovvero quanto di autoctono e quanto di importato dalla Germania di Hitler sia da attribuirgli, soprattutto in un bilancio storico a così tanta distanza di tempo. Non di meno (ed è l'aspetto più interessante) è preso di petto il tema della rilevanza degli interventi intellettuali a sostegno e legittimazione culturale dell'antisemitismo istituzionalizzato. Il lettore del libro non vi troverà necessariamente elementi inediti ma, in alcuni casi, una buona tematizzazione degli oggetti delle relazioni. In tutta franchezza stona, e non di poco, rispetto a un testo dignitoso, la prefazione di Stefano Folli (segno dei tempi, evidentemente, che per dare credito al lavoro degli storici si avverta l'occorrenza di una prestigiosa firma del giornalismo), laddove il medesimo si spende in una difesa del presunto rigore scientifico di Giampaolo Pansa. Nel nome, ancora una volta, di una "pacificazione" e parificazione, da intendersi, evidentemente, come equilibrismo nei giudizi.
Claudio Vercelli

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