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Più che gli intrecci fra mondo della cultura, razzismo e dittatura, sembra che il fulcro dell'indagine di Rota sia l'idealismo, indagato non nella sua veste filosofica, quanto nella concretezza di fenomeno storico-culturale, da ripercorrere nei suoi approdi e snodi, attraverso le biografie intellettuali di Gentile, Evola, Levi della Vida e Tilgher. Lo sforzo di mantenere la pacatezza di giudizio e di contestualizzare adeguatamente i documenti emerge in particolar modo nell'analisi del presunto "antirazzismo" gentiliano, di cui Sasso e Faraone avevano enfatizzato la portata e che qui, senza essere negato, viene ricondotto grazie a una rilettura del caso Cogni, Cassirer e Kristeller a una sfera solo privata, che mai sconfina in dichiarazioni pubbliche in contrasto con i dettami del regime. Evidente il debito nei confronti dell'attualismo dell'evoliano "spiritualismo estremo", che, frutto di uno spinto eclettismo culturale, era stato in grado di fornire, attraverso la formula del "razzismo spirituale", un'alternativa "credibile", o per lo meno culturalmente fondata, al razzismo biologico hitleriano. Gentile è ancora presente nell'itinerario di Levi della Vida, il cui appello ai valori illuministici e la forte tensione etica della scelta di non giurare al fascismo nel 1931 non risultano intimamente compresi dal filosofo dell'atto puro. Ma quello stesso storicismo gentiliano, denigrato grossolanamente negli anni venti, appare nel 1935 a Tilgher assai più conseguente di quello crociano, di cui si mettono in discussione gli schematismi e l'indifferentismo. Eccentrico rispetto alla tradizione culturale qui trattata, il saggio su Améry sposta infine l'attenzione sugli effetti reali della persecuzione antisemita e, nel rifiuto del concetto di "banalità del male", richiama i valori della ragione contro le deviazioni irrazionalistiche di certo idealismo.
Alessia Pedìo
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