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Nel 1898 Clemenceau “inventò” la parola intellettuali, al tempo del caso Dreyfus. In molti intervennero firmando appelli per la liberazione del militare (Émile Zola, Anatole France, Marcel Proust, etc.). Gli intellettuali dovrebbero: “anteporre il diritto e un ideale di giustizia ai loro interessi personali, ai loro istinti naturali ai loro egoismi di gruppo”. (Lucien Herr). Cosa e come è cambiato il ruolo dell’intellettuale? Bauman individua varie motivazioni. “Secondo Simmel quanto più le competenze professionali sono specializzate e circoscritte, tanto maggiore può essere la loro efficacia pratica. Nello stesso tempo, tuttavia, la rigida delimitazione degli interessi conoscitivi rischia di far perdere di vista problemi più generali di rilevanza culturale”. “Screditare gli altri esperti è considerato il mezzo più sicuro per aumentare il proprio prestigio, la critica collegiale nel complesso è impregnata di malevolenza e di invidia e la prospettiva che le diverse categorie professionali si uniscano per assumersi collettivamente la responsabilità propria degli intellettuali è assai incerta e remota (Perkin). “Il pubblico è stato rimpiazzato dai colleghi e il gergo specialistico ha soppiantato l'inglese.” “Quando la notorietà anziché la fama diventa il criterio dell’influenza pubblica, gli intellettuali si trovano in competizione con i campioni sportivi di regola le pop stars, i vincitori di lotterie, i terroristi e i serial killers”. Forse in Italia l‘ultimo appello di intellettuali è stato quello del 1971 “Lettera aperta sul caso Pinelli.” I firmatari furono moltissimi di idee politiche diverse. Una richiesta di giustizia senza divisioni. Ricordo alcuni nomi: Franco Basaglia, Alberto Bevilacqua, Andrea Cascella, Tullio De Mauro. Gillo Dorfles, Umberto Eco, Federico Fellini, Enzo Paci, Luigi Nono, Cesare Musatti, Primo Levi, Margherita Hack, Giovanni Giudici, Natalia Ginzburg, Pier Paolo Pasolini, Paola Pitagora, Giò Pomodoro, Giovanni Raboni, Carlo Salinari, etc.
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