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Descrizione


Una parte crescente dell'opinione pubblica ritiene le banche corresponsabili dei crack Cirio e Parmalat. La convinzione è che esse fossero informate dello stato di dissesto di questi gruppi e che, per recuperare i loro crediti altrimenti inesigibili, abbiano aiutato i bancarottieri a emettere bond e a venderli allo sportello, come se fossero titoli a rendimento garantito. L'obiettivo del libro è individuare le responsabilità di quanto è successo, risalendo alle cause del fenomeno, chiedendosi: cosa non ha funzionato e cosa non funziona nel sistema bancario? che cosa c'è all'origine di certe degenerazioni? come hanno potuto affermarsi certe consorterie?
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Dettagli

2005
20 febbraio 2006
224 p.
9788807171024

Voce della critica

Crony capitalism ! Così hanno sentenziato autorevoli analisti economici nostrani e d'oltralpe non appena la magistratura ha alzato il coperchio sull'ennesimo scandalo finanziario italiano. Il termine (che può essere tradotto con "capitalismo degli amici") è cominciato a circolare sui giornali e sulle riviste economiche internazionali a seguito della crisi che ha colpito il sud-est asiatico nel 1997. Il suo uso sembrava destinato ai soli paesi cosiddetti "emergenti", invece, ancora prima della tanto e giustamente temuta influenza aviaria, questa forma di capitalismo fondata sulla poca trasparenza (se non addirittura sulla corruzione), sui legami e gli intrallazzi personali - tra banchieri e imprenditori - sembra aver contagiato una parte dell'economia del nostro paese. Chi volesse farsene un'idea può leggere questo libro-inchiesta di Giuseppe Oddo e Giovanni Pons dal titolo molto accattivante, concentrato sul rapporto banche-risparmiatori-regolatori. Gli autori, il primo inviato al "Sole 24 ore", il secondo capo dei servizi economici di "Repubblica", danno infatti un quadro del sistema industriale, bancario e dell'azione della Banca d'Italia guidata da Antonio Fazio, fatto di molte ombre e di poche luci.
Alla base dei problemi attuali sta quello che Raffaele Mattioli battezzò, diversi anni fa, come "fratellanza siamese", riferendosi alla banca mista e allo stretto e malsano intreccio esistente fra banca e impresa. Dopo l'approvazione del testo unico bancario del 1993, il legame tra chi finanzia e chi è finanziato è infatti cresciuto: molti sono gli imprenditori che siedono oggi nei patti di sindacato degli stessi istituti che li finanziano. Il processo si è irrobustito soprattutto a seguito delle numerose privatizzazioni del sistema bancario che ha favorito l'investimento a capitali di provenienza industriale. Il conflitto di interessi esistente tra il creditore e il debitore suo azionista è emerso prepotentemente soprattutto a seguito dei crack di Cirio e Parmalat. Come ricordano i due autori, i costi di questi fallimenti sono però ricaduti soprattutto sui risparmiatori (spesso mal consigliati dalle banche stesse), i quali si sono visti anche soggetti, soprattutto nel corso del 2005, a continue "tosature" rappresentate da commissioni sempre più onerose (e più o meno occulte) che, a giudizio dell'autorità per l'antitrust, sono più elevate rispetto a quelle francesi, tedesche e spagnole.
Ma dov'erano i controllori mentre tutto ciò stava avvenendo? Tra le prerogative della Banca d'Italia, dopo che l'avvento dell'euro l'ha privata della sovranità sul controllo della moneta, ci sono infatti le pur rilevanti azioni di vigilanza sulla concorrenza bancaria (ottenuta dopo un braccio di ferro con l'antitrust), sul credito e sul risparmio. Invece di favorire la concorrenza tra gli istituti di credito così da migliorarne l'efficienza, la Banca d'Italia si è spesso trincerata dietro l'alibi di voler difendere l'italianità del proprio sistema: ciò però è avvenuto a scapito dell'interesse dei risparmiatori e delle stesse banche. Secondo Oddo e Pons i "templari dell'italianità" (come vengono da loro definiti) non hanno capito che la strategia vincente è quella di spingere le banche italiane ad andare in Europa (come ha fatto per esempio UniCredit) e le banche europee a venire in Italia. Il modo migliore per difendere il sistema bancario, dunque, non sta affatto nella "chiusura" ma piuttosto nella partecipazione degli istituti di credito nazionali al processo di concentrazione in atto a livello europeo, altrimenti essi sono destinati a rimanere nani ed essere, allora sì, facili prede per le grandi banche straniere.
Come se ciò non bastasse, il controllore ( alias la Banca d'Italia) invece di mantenersi super partes , nel corso dei tentativi di scalata che hanno costellato il 2005 ha "simpatizzato", come ricordano gli autori, con chi doveva essere controllato favorendo, per esempio, l'ingresso nell'azionariato di Antonveneta e di Bnl a personaggi quali Stefano Ricucci ed Emilio Gnutti (sui quali sta indagando la magistratura) che si erano arricchiti enormemente e in poco tempo, a suon di plusvalenze e speculazioni immobiliari.
"Quando il capitalismo diventa il sottoprodotto dell'attività di un casino (da gioco)", diceva Keynes, c'è sicuramente qualche cosa che non va e ciò avrebbe dovuto preoccupare molto le istituzioni deputate a vigilare sul buon funzionamento del sistema economico-finanziaro. Al contrario, secondo Oddo e Pons, l'ostinazione e la "partigianeria" esercitata dall'ex governatore ha scatenato una prova di forza tra le massime autorità di politica economica del paese (Tesoro e Banca d'Italia) che si è trascinata per troppo tempo e ha rischiato di minare la credibilità internazionale di una delle maggiori e più autorevoli istituzioni italiane. Naturalmente, le responsabilità di questo lungo stillicidio sono state anche politiche, dato che il "monarca" di Palazzo Koch (sede della Banca d'Italia) era riuscito, molto abilmente, a mobilitare un vero e proprio partito trasversale in parlamento.
Gli autori non sposano però la tesi circa l'esistenza di un grande disegno orchestrato da un unico burattinaio che mirava a creare due grandi banche: una orientata verso il centrodestra (Lodi-Antonveneta) alla quale si sarebbe dovuta aggiungere la "conquista" del "Corriere della Sera", e l'altra vicina al centrosinistra (Unipol-Bnl). Essi dedicano infatti l'intero capitolo 4 del loro libro per cercare di capire come diverse forze politiche in campo abbiano potuto convergere su obiettivi comuni partendo da interessi diversi o addirittura contrapposti. Oddo e Pons arrivano alla conclusione che "sono i Fiorani, i Gnutti, i Consorte a tessere la rete, a parlarsi e a parlare con i politici (...) in modo da garantirsi buoni rapporti con tutti i governi e ampi margini per la gestione degli affari".
Il crony capitalism dal quale si era partiti torna quindi con prepotenza, questa volta sotto forma di spasmodica ricerca di amicizie nei vari partiti, e rievoca molti spettri della tanto vituperata prima Repubblica. C'è solo da augurarsi, senza voler fare falsi moralismi, che l'inchiesta contenuta in questo libro serva a tutti - ma in particolare ai politici - a tenere gli occhi sempre bene aperti!

Lino Sau

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Conosci l'autore

Giuseppe Oddo

Giuseppe Oddo è un inviato del “Sole 24 Ore” e si occupa di giornalismo d’inchiesta. Feltrinelli ha pubblicato L’intrigo. Banche e risparmiatori nell’era Fazio (con Giovanni Pons; Feltrinelli, 2005), Opus dei. Il segreto dei soldi (con Angelo Mincuzzi; 2011). Con Riccardo Antoniani ha scritto L'Italia nel petrolio. Mattei, Cefis, Pasolini e il sogno infranto dell'indipendenza energetica, pubblicato sempre da Feltrinelli nel 2022.

Giovanni Pons

Giovanni Pons lavora alla redazione milanese de ?la Repubblica” come caposervizio dell'economia. Ha esordito a ?Milano Finanza” e ha scritto successivamente per altri periodici specializzati: ?Investire”, ?Borsa & Finanza” e ?Gente Money”. Ha seguito i principali eventi finanziari di questi anni: dalle lotte di potere per il controllo di Mediobanca ai riassetti del sistema bancario. È coautore con Oddo de L'affare Telecom.

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