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splendido romanzo, meravigliosamente scritto e coinvolgente! brava la Cilento che ha superato se stessa!
Recensioni
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Uno scrittore, com'è noto, può rielaborare una materia personale in una quantità di modi pressoché infinita. Può addirittura allontanarsi da una storia familiare lunga e dolorosa perché quella storia rimanga a ossessionare la storia effettivamente scritta, quasi come una specie di fabula fantasma che non è stata (ancora) imbastita, ma che probabilmente potrebbe esserlo in futuro, se i fantasmi si faranno più addomesticabili e disponibili a farsi raccontare. Questa promessa di una storia mancante è una delle prime suggestioni che il nuovo romanzo di Antonella Cilento, Isole senza mare, procura al lettore, unita alla fascinazione di una scrittura i cui punti di forza sono la cura estrema del dettaglio, la precisione della ricostruzione storica, la fluidità non leziosa con cui la voce narrante riesce a passare da un quadro temporale all'altro senza sfilacciare la tramatura del racconto. Isole senza mare (Guanda, Milano 2009) racconta infatti due storie femminili ambientate rispettivamente nell'Otto e nel Novecento; la storia di Aquila, giovane nobile decaduta che, lasciata la Spagna, una volta a Roma diventa prostituta e si lega al marchese Giampietro Campana (figura storica di collezionista che assemblò una notevole quantità di statue, quadri e antichità greco-romane, disperse dopo la sua rovina e l'allontanamento dal Monte di Pietà), e la vicenda contemporanea di Nina, ultimo anello di una genealogia femminile che subì non poche persecuzioni e privazioni, dalla cacciata degli ebrei dalla Spagna al fascismo, alla guerra, all'isolamento di un'esistenza mai compiuta. Due vicende di dolore e di esilio esistenziale che corrono parallele sul filo di affinità e rimandi (un po' deboli forse, ma questo risalta tanto più considerata la robustezza complessiva dell'impianto romanzesco e soprattutto l'effervescenza della scrittura quando entra nel vivo della storia di Aquila: la sola che sembra veramente mettere in moto l'energia narrativa della scrittrice, e quindi far penetrare il lettore in una dimensione romanzesca in grado di avvincere letteralmente il lettore alla pagina) che toccano non tanto la vicenda biografica delle protagoniste (le accomuna una vicenda di disamore maschile, i ripetuti tentativi di suicidio, la capacità di comunicare con presenze femminili fantasmatiche) quanto quello che si potrebbe definire come una retorica del Mediterraneo, laddove con questa espressione si intenda la capacità di una lingua di raccontare una koinè così disparata, complessa e singolare e di aderirvi pienamente con le risorse dello stile e dell'immaginazione. Il rischio, naturalmente, è quello di cadere nel kitsch del Mediterraneo: capita a molti scrittori del Sud che provino a raccontare le proprie origini e non siano sorretti da una lingua robusta e precisa, ancorché esuberante e ricca di accensioni analogiche, come quella di Cilento. Ed è quasi naturale, allora, che la narrazione di Cilento si nutra di doppi femminili, che vanno a comporre una fitta trama di storie alla cui ombra è dato intravedere la storia fantasmatica, ma non per questo meno presente, di chi scrive, di chi legge. Una storia seconda che si sovrappone alla prima, come il fantasma di Segunda, la sorella morta, accompagna Aquila fino alla fine. Marilena Renda
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