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Dettagli

1998
11 giugno 2014
144 p., ill.
9788880120858

Voce della critica

PITSCHEIDER, ANNA, Sally Potter. Il lavoro con l'attore
GATTI, ILARIA, Jane Campion
recensione di Cortellazzo, S., L'Indice 1998, n.11

Il lavoro di due registe tra le più significative nel panorama del cinema contemporaneo viene analizzato con cura e passione da due studiose che, oltre a offrire una lettura attenta dei rispettivi universi di ricerca, si "mettono in gioco", comunicando al lettore una personale adesione rispetto alla materia trattata: il tutto si trasforma in un contagioso piacere della lettura, per il bell'equilibrio messo in atto tra rigore ed empatia, precisione analitica e sensibilità critica. Ma vediamo da vicino chi sono le autrici delle pubblicazioni e quali angolazioni interpretative adottano nell'avvicinarsi alle cineaste prescelte.
Il libro di Anna Pitscheider è uno sviluppo della sua tesi di laurea. Ha tutte le caratteristiche di un "work in progress", in cui i diversi capitoli si configurano come tappe successive di ricerca, distribuite lungo un ampio arco temporale, e nel contempo ha la qualità di presentarsi come uno studio aperto, suscettibile di ulteriori approfondimenti. Si parte da un'ampia analisi sul lavoro dell'attore - con il desiderio di "esplorare lo spazio condiviso da "performer" e regista nel processo di creazione di un personaggio in una situazione condizionata" -, per arrivare a osservare un caso particolare di regia, quello messo in atto da Sally Potter in "Orlando" e in "Lezioni di tango", oltre che nei suoi primi lavori. L'originalità dell'approccio scaturisce da un "esserci" in prima persona, da parte di Pitscheider che, per affrontare la sua ricerca sull'attore, frequenta a Londra un corso di "acting" presso il Lee Strasberg Studio, e segue da vicino la pre-produzione di "Lezioni di tango", "entrando" successivamente nel set, "per vedere organicamente come cresce un'idea dalle prime fasi creative e solitarie, attraverso la vita di set collettiva e esposta, per acquisire una forma definitiva nel buio della sala di montaggio".
La prima parte del volume è dedicata eminentemente all'analisi teorica dei concetti di identità e spostamento, immedesimazione e distanziazione, tecnica e natura in riferimento all'"acting" (dalle idee di Diderot sulla recitazione alla rottura con il passato operata da François Joseph Talma, dal metodo elaborato da Stanislavskij, agli sviluppi ulteriori di Lee Strasberg), e a un'applicazione del Metodo allo studio del personaggio (ovvero il lavoro dell'attore sul personaggio attraverso l'azione e l'immaginazione). La seconda parte, la più vivace e originale, è dedicata a Sally Potter, e in particolare ai suoi "Orlando" e "Lezioni di tango", con particolare riguardo al rapporto attore-regista. Il terreno di partenza è stimolante per la particolarità dei film studiati: "Orlando", tratto dal romanzo di Virginia Woolf, affronta innanzitutto il problema dell'identità, seguendo la crescita e lo sviluppo del protagonista dai contorni sessuali sfuggenti; un personaggio che, nato uomo, nell'arco di quattro secoli diviene donna, o forse semplicemente scopre il lato femminile di sé. Definito da Gianni Canova "il primo film transessuale della storia del cinema" (soprattutto per le caratteristiche della messinscena e del linguaggio), "Orlando" presenta un complesso lavoro sull'"acting", messo in gioco dalla fertile collaborazione fra Sally Potter e la protagonista Tilda Swinton, autrice di una difficile e riuscita "performance" costantemente in bilico fra immedesimazione e distanziazione.
Le accurate esegesi di "Orlando" e "Lezioni di tango" vengono intervallate da lunghe conversazioni tra Pitscheider e Potter, che si trasformano in interessanti riflessioni sul processo di creazione di un film (soprattutto nel caso di "Lezioni di tango", che viene analizzato da autrice e intervistatrice in due fasi distinte, prima e dopo le riprese). Quest'ultimo film si dimostra particolarmente indicato per il lavoro di Pitscheider sull'attore e sul problema dell'identità e dell'interpretazione nella "performance" cinematografica, data la presenza di Sally Potter contemporaneamente dietro e davanti alla macchina da presa, in qualità di sceneggiatrice e regista, attrice e danzatrice. Dalle lunghe interviste emerge il ritratto di una cineasta da sempre avvezza al ragionamento e alla messa in pratica della sperimentazione, attratta e catturata da diversi mezzi d'espressione artistica, come testimonia il suo background poliedrico e originale di musicista, cantante, danzatrice e coreografa.
Se Pitscheider con il suo studio ben valorizza le qualità di una regista di notevole spessore intellettuale, nondimeno Ilaria Gatti rende merito, con la sua pubblicazione, alla indubbia sensibilità artistica di Jane Campion, autrice di "Sweetie", un testo dalla sintassi volutamente sgrammaticata, dalla fisionomia sdrucciolevole, che fa parlare della cineasta come poetessa della "diversità" e della "bruttezza"; di" Un angelo alla mia tavola", opera più distesa narrativamente, ma densa di echi perturbanti nella sua messa in scena delle vicende vissute realmente dalla scrittrice neozelandese Janet Frame, rinchiusa per anni in un manicomio; di "Lezioni di piano", Palma d'oro a Cannes, la prima conferita a una regista donna; e infine di "Ritratto di signora", da Henry James, opera un po' più accademica, forse meno potente e vigorosa delle precedenti. Quattro ritratti femminili "di frontiera", sofferti, irrequieti, indispettiti di fronte alle regole, accomunati da un certo qual che di "oscuro" e insondabile.
Ilaria Gatti, architetto, membro della redazione di "Filmcritica", per il suo primo libro di cinema si volge a Campion adottando un approccio critico e interpretativo molto libero, ricco di accostamenti personali, non sempre pienamente convincenti, ma certo suggestivi. Particolarmente efficace appare la sezione fotografica del volume che visualizza alcuni esempi di filiazioni e parentele, individuate dall'autrice nel suo testo, fra il variegato universo della regista neozelandese e temi, personaggi e motivi iconografici di altri registi o pittori. Qualche esempio: vegetali teratoformi negli incubi di Kay in "Sweetie" raffrontati a vegetali sul lavello della cucina in "Repulsion* di Polanski; corpi femminili come rottami in "Untitled#188" di Cindy Sherman e in "Sweetie", con la protagonista moribonda; arti posticci, ovvero frammenti di una femminilità offesa, come il dito di metallo di Ada in "Lezioni di piano" e la protesi alla gamba in "Tristana" di Buñuel; veli di mistero sui volti, come in "Les amants" di René Magritte e sul volto di Ada baciata da Baines in "Lezioni di piano"; alberi che si trasformano in compagni silenziosi in "Untitled Film Still#43" di Cindy Sherman e per le sorelle Frame nel bosco in "Un angelo alla mia tavola".
Lo studio su Campion si sofferma in particolar modo sull'analisi delle figure femminili in rapporto alla natura che le circonda, sulla presenza di un universo infantile carico di elementi fantastici, sul ruolo degli oggetti, sulla predilezione e l'uso insistito del dettaglio. Si pone poi l'accento sulla particolarità della scrittura al femminile di Campion, di cui si riconosce la capacità di reinventarsi, andando al di là delle etichette affibbiate (regista della "marginalità disadattata", ecc.), dando risultati di spessore in tutte le opere dirette.

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