(Terre Haute, Indiana, 1871 - Hollywood, California, 1945) romanziere statunitense. Penultimo di dieci figli, condivise la vita povera ed errabonda della famiglia, dominata dal rigorismo religioso del padre, cattolico emigrato dalla Germania. Il lessico della sua dura infanzia, rievocata in Alba (Dawn, 1931), fu il tedesco. A vent’anni iniziò l’attività di reporter, dapprima a Chicago, poi a St. Louis, a Pittsburgh, a New York. Nel frattempo coltivò le sue ambizioni di narratore, trovando nelle letture di romanzieri e filosofi una conferma alla vocazione naturalistica indotta dalla sua esperienza dell’America: Balzac lo orientò verso una grandiosa concezione della società come campo di caotici conflitti di potere; Th. Huxley e H. Spencer gli fornirono, nella «chimica delle motivazioni», le basi teoriche per l’analisi dell’individuo in lotta con l’ambiente. Il suo primo romanzo, Nostra sorella Carrie (Sister Carrie), scritto nel 1900, ma pubblicato solo nel 1912 perché ritenuto «immorale», è la storia di una donna, modellata sulla sorella Emma, che giunge, da sola, al successo e alla ricchezza. E ancora una donna, vittima invece che trionfatrice, è l’eroina di Jennie Gerhardt (1911). Nei due romanzi successivi, Il finanziere (The financier, 1912) e Il titano (The titan, 1914) - che, con il postumo e incompiuto Lo stoico (The stoic, 1947) compongono la «trilogia del desiderio» - D. denuncia la brama di potere e di denaro dominante nell’America di quegli anni, descrivendo l’ascesa di Frank Cooperwood, finanziere senza scrupoli, quasi un superuomo del mondo economico. Se Il genio (The genius, 1915) è un ritratto d’artista, Una tragedia americana (An american tragedy, 1925), possente anatomia dei falsi miti del successo, basata su un caso giudiziario reale, narra la storia di un giovane di irrequiete ambizioni sociali che alla fine viene giustiziato per un delitto che ha meditato ma non commesso. Raggiunta la fama, D. accettò il ruolo di figura pubblica; invitato dal governo sovietico, visitò, nel 1927, la Russia; e in patria fu vicino alle posizioni della sinistra fino a iscriversi, pochi mesi prima della morte, al partito comunista. Le sue energie di narratore si erano, se non spente, assottigliate, come documenta Il baluardo (The bulwark, postumo, 1946).Scrittore controverso fin dall’inizio per le apparenti improprietà del suo linguaggio vigorosamente trasgressivo, D. creò, di fatto, uno stile capace di rendere la violenza, lo squallore, gli sprechi della moderna vita urbana e, insieme, di illuminarne, in simboli e metafore di forza primitiva, il meraviglioso e l’arcano. L’influenza di D., considerato oggi il maggiore dei naturalisti americani, è stata decisiva e profonda.