(Napoli 1860-1934) poeta italiano. Si iscrisse alla facoltà di medicina, ma smise subito di frequentarla per dedicarsi al giornalismo e alla letteratura. Fu qualche mese in Germania, di dove mandò al «Corriere del mattino» varie novelle fantastiche, che ricordavano i racconti romantici tedeschi ma anche le novelle della scapigliatura. Autore di volumi eruditi (Cronaca del teatro San Carlino, 1891), fu narratore discontinuo, ma dai tratti estremamente delicati e toccanti: Minuetto settecentesco (1883), Pipa e boccale (1893), Novelle napolitane (1914), L’ignoto (1920). Nel suo teatro, da Malavita - pubblicata nel 1889 col titolo ’O voto e tratta dalla novella Il voto - ad Assunta Spina (1909) e a Quand l’amour meurt (1911), risalta l’elemento patetico, a conferma della natura essenzialmente lirica dello scrittore. I drammi sono ricavati da novelle o da un gruppo di sonetti, come A San Francisco: vi si nota una tendenza a dilatare gli effetti, a prolungare le parti corali e i duetti delle confidenze, a rimandare il più possibile lo scioglimento del nodo tragico.L’esperienza narrativa e quella teatrale, col loro verismo minuto e liricamente effuso, rimandano alla produzione in versi, dove il dialetto, colto, letterario, assume il valore di testimonianza di un mondo che va scomparendo. La poesia di Di G., da ’O funneco verde (1886) ad Ariette e sunette (1898) e a Canzoni e ariette nove (1916), non è priva di squilibri, di effetti a volte facili, ma le «sensazioni labili e ineffabili» sono rese con un’arte raffinatissima che giunge, come è stato detto, alla dissoluzione del verso e alla ricomposizione di una «metrica interna», a una musica più profonda e difficile di quella affidata al naturale andamento cantabile.