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Vincitore della 6ª edizione del premio letterario Fondazione Megamark - Incontri di Dialoghi, 2021
«Compie un grande salto di qualità Maddalena Fingerie con questo suo Lingua madre, Premio Calvino 2020, rispetto ai racconti che era venuto pubblicando su varie riviste, e in particolare a Emme come Marta, nel quale già si provava nella tecnica narrativa e nel ritmo qui adottati» - Ermanno Paccagnini, la Lettura
Paolo Prescher, bolzanino di lingua italiana, è ossessionato dalle parole che si sporcano. Dopo la morte del padre, si trasferisce a Berlino dove lavora come bibliotecario. Ma il ritorno a Bolzano, al bilinguismo, e la nascita del figlio lo fanno ripiombare tragicamente nella mania della lingua.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Ripetitivo e pretestuoso.
Leggo, strappo i bordi, leggo, separo le pagine con il segnalibro, parola, parole, parole sporche, parole pulite, non capisco, credo di capire, ossessione, parole sporche, pulire le parole, apro per leggere, il libro come oggetto materiale, biblioteca è una parola di pace, l'amore è una parola pulita, berlino, parole pulite, l'amore complica, bolzano, di nuovo, parole sporche, ossessione, capisco, strappo i bordi, non può finire cosi, no, non può finire cosi, così FINE è una parola sporca. libr-ida-leggere 📚 #suggestionidalettura #lecosechemivengonoinmentequandofiniscounlibro #leggeresempre #leggerechepassione #librisulcomodino #libriamoci #bookstagram #booklovers #everyreaderhisbook #scrittrici #narrativaitaliana #esordi #maddalenafingerle #linguamadre #italosvevoedizioni
Il romanzo ha alcuni pregi, di cui poi dirò, ma complessivamente non mi è piaciuto. Il primo elemento di debolezza è quello relativo al tema della lingua, delle parole sporche o pulite, suggerito sin dal titolo come asse portante del racconto, ma che in realtà resta un elemento del tutto estrinseco, quasi pretestuoso. In sostanza, il protagonista, il bolzanino Paolo Prescher, ha un rapporto conflittuale con la sua città, con la madre e la sorella, con l’ambiente sociale che lo circonda e trasferisce questo conflitto sulle parole. Quelli con cui ha un rapporto conflittuale gli “sporcano” le parole, quelli con cui ha un rapporto emotivamente più profondo no. Non gli piace nemmeno lo slang bolzanino, col solito processo di traslazione del conflitto dalla realtà alle parole. Insomma, non c’è nessuna rivelazione sul “senso più profondo del linguaggio”, come recita il risvolto di copertina. Si trasferisce a Berlino e lì trova la sua dimensione: trova un lavoro, trova l’amore, trova amici con cui è in sintonia, trova una città che gli è finalmente congeniale. La sua ragazza rimane in cinta e inspiegabilmente i due decidono di ritornare a Bolzano. Perché mai, se a Berlino avevano casa, lavoro, amici, felicità e a Bolzano nessuna di queste cose? Sì, perché Paolo è un nevrotico e la sua nevrosi emergerà in tutta la sua severità dopo il ritorno a Bolzano. Aggiungo che la psicologia di Paolo, così come l’ha tratteggiata l’autrice, è una psicologia femminile, non maschile, a cominciare dal rapporto conflittuale con la madre e di rivalità con la sorella cui fa da pendant un sentimento profondo verso il padre. Anche la scena finale reca l’impronta di una personalità patologica femminile più che maschile. Aggiungo che alcuni aspetti del racconto possono essere chiari solo a chi conosce il contesto altoatesino. Di positivo nel romanzo c’è il linguaggio, narrativamente efficace, e il flusso di coscienza finale, tecnicamente ben costruito con un climax crescente di tensione.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
L’esordio di Maddalena Fingerle, vincitore della XXXIII edizione del Premio Italo Calvino, è un lucidissimo flusso di coscienza che attraversa i luoghi e gli affetti, che li trasforma negli occhi, ma soprattutto sulla lingua del protagonista, Paolo Prescher.
La centralità della parola si traduce, nella scrittura, in un miscuglio, un Misch-masch linguistico, per dirla alla bolzanina, a tratti straniante ma denso di suggestioni quasi uditive. Esperienza sinestetica per il lettore, contagiato dall’ossessione del protagonista. Lo sguardo analitico sulla lingua si fa poesia, prima ingenua e disarmante di bambino, poi idillio d’amore giovanile. Infine, le parole si impregnano della disperazione di uomo, solo con un dolore da cui non è bastato fuggire.
Da bambino a giovane adulto, seguiamo infatti l’ossessione di Paolo per le parole e la sua insofferenza nei confronti di una Bolzano che dell’identità linguistica ne fa una mania: italiano, tedesco o ladino, sei ciò che parli. Ma per Paolo tutti parlano sporco. La madre, la sorella, tutti tranne il padre, Biagio, che non parla affatto. Quando Biagio decide di farla finita, Paolo rifiuta non solo il dolore, ma anche la sua lingua: d’ora in poi parla solo tedesco. Scappa a Berlino, trova una sistemazione e anche l’amore, Mira. Mira che finalmente parla pulito, che gli pulisce persino l’italiano. Con lei la metropoli si riduce ad una biblioteca, una vasca da bagno, qualche amico e uno scantinato. Mira aspetta un bambino e vuole crescerlo a Bolzano: lui si fida di Mira, finché è con lei e le parole sono pulite va tutto bene, anche Bolzano. Ma i ricordi, la rabbia e la nostalgia sporcano tutto, Mira e la bambina che Paolo tanto desidera. È un maschio e la nonna vuole chiamarlo Biagio. Paolo diventa papà, ma non desidera altro che lavare via lo sporco delle parole e purificare anche la piccola. In un crescendo che segue l’insinuarsi dell’ossessione, quella vera, si consuma la tragedia.
Recensione di Laura Carlomagno
A cura del Master Professioni e prodotti dell’editoria - Collegio Universitario "Santa Caterina da Siena” in collaborazione con l’Università di Pavia
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