Scopo del presente volume è contribuire a pensare con maggiore chiarezza il reticolo di connessioni civili, morali, culturali, che animarono la scrittura critica e la militanza intellettuale del Breme, in una congiuntura storica tormentata e decisiva, che vide il crollo traumatico del Regno d’Italia e l’instaurarsi della nuova dirigenza austriaca. Appellandosi al cogito cartesiano e al suo carattere eminentemente ‘augurale’, l’autore piemontese intesse la trama di un sapere che, in nome della modernità, vuol giustificarsi iuxta propria principia, senza trascurare, ovviamente, le radici identitarie della civiltà letteraria nazionale e il riferimento ai vertici espressivi della «grammatica intellettuale» europea. Ne consegue che sia in ambito politico-civile, sia in campo estetico o stricto sensu poetologico, l’atto della conoscenza o della ideazione artistica si configura come ‘irruzione’ di un novum storico, che mette fuori gioco il conformismo imperante delle idee e la atavica passività del ceto dei colti. «Io porto in cuore – affermava il Breme – un parlamento intero di opposizione contro tutte le tirannidi e contro la volgarità della consuetudine». Un theorein di tipo baconiano, ovvero una scientia propter potentiam alimenta il suo stile di pensiero e prefigura l’orizzonte utopico entro cui promuovere «un vero infinito». Nell’intraprendere l’esperienza ultimativa del «Conciliatore» e in presenza di un sistema politico in accelerata degradazione (ormai la pax austriaca era meno che un ricordo), il Breme dimostra ancora di credere nel pathos costruttivo della ragione e dell’esperimento; non senza la consapevolezza, tuttavia, degli sbarramenti e della scarsa lungimiranza che incontrano tutti i progetti umani di emancipazione: «di tutte le agonie» asseriva «la più irreparabile è l’agonia sorda e inosservata».
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