«Lo strisciante, maleodorante e fervente sentimento anti-industriale che attanaglia una consistente parte del nostro Paese è conseguenza di un capovolgimento dello sguardo che tarda ad avverarsi, In un mondo sempre più visuale in cui ciò che non si mostra non esiste diventa complesso imparare a leggere la pluralità nella sua sacrosanta complessità e apparente disarmonia. Vi spingeremo a farlo tra le pagine di questo secondo numero che abbiamo voluto interamente dedicare al tema "immagine': Abbandonate fin dal principio ogni idea fuorviante di una immagine estetizzante della "bella impresa italiana" e cercate di focalizzare la sua variazione più immanente e pervasivi colta nell'etimologia mistica di "visione',' "rappresentazione'; "sogno'; "alterità" Se è vero che la verità non risiede solo in quello che si vede, allora l'impresa italiana e la sua conoscenza più profonda non potranno certo essere liquidate attraverso alcune sporadiche incursioni multi-mediali. Capovolgeremo insieme lo sguardo perché andremo a vedere l'incredibile, il non detto, il non bello, il non immediato. Alle fotografie di fabbriche abbiamo preferito le illusioni ottiche, le sparizioni e le conseguenti cancellazioni: l'industriale c'è anche là dove non si vede, il racconto continua ad esistere in assenza dí evidenze palesi. Abbiamo fiutato alcune sacche di tabù che inizieremo a scalfire perché, a prescindere dal prodotto, dal fatturato e dal blasone del marchio - come ci eravamo promessi fin dal primo numero - l'impresa italiana tutta merita scintille di attenzione. Che il nostro sia un monito: andare oltre il visibile! Riconoscendo che le immagini sono anche le idee nasciture, le visioni abortite, i mondi che ci siamo costruiti e che abbiamo deciso di demolire, i dubbi che hanno preso corpo, i futuri che stiamo indovinando, le città che abiteremo. Perché, soprattutto - in termini di leggibilità - ci sono orde dí persone che quel visibile non lo interpretano e non sono ancora pronte a decodificarlo. Chiediamoci inoltre: dopotutto, l'immagine è sempre visibile? E, ammesso che lo sia, dice tutto? Prendiamo ad esempio la copertina di questo numero. Cos'è? Cosa dice? E perché racchiude proprio quell'immagine? Ad un primo sguardo, sembra un disegno di un bambino e infatti lo è, fautrice è Sara, una bambina che abbiamo conosciuto a giugno a Carrara durante una presentazione di Lune Elettriche. In quell'occasione abbiamo chiesto ai bambini presenti in piazza di immaginarsi la copertina del prossimo numero, Ognuno aveva a disposizione dei pennarelli colorati e un foglio bianco. L'unica domanda a cui dovevano sforzarsi di rispondere era: "Se ti dico fabbrica, industria, impresa cosa ti viene in mente? Disegnalo!" Sara ha disegnato quella che agli occhi di tutti noi sembra più una casa che una fabbrica. E di fianco ci ha messo il suo papà, operaio, riconoscibile dal berrettino. Per lei, mentre la disegnava, quella era la sua rappresentazione migliore del concetto "fabbrica': Che per noi sia ambiguo è solo questione di interpretazione. Ci potremmo chiedere: "Il papà sta uscendo di casa? O sta entrando in fabbrica? Oppure, Sara ha idea di cosa sia una fabbrica? E se no, ha disegnato l'azione del padre che esce ogni mattina per andare al lavoro? E questa non è comunque l'immagine di impresa che avevamo chiesto?" In questa rete infinita di interrogativi che ci potremmo porre sta incastonata la potenza dell'immagine e cioè la sua interpretabilità, E perché proprio il disegno di Sara è finito in copertina e non gli altri? Perché il numero sull'immagine si meritava una copertina realizzata da una bambina che rappresenta la sua idea di impresa e lo fa contenta di andare fuori dalle righe. E noi, con lei.» (Dall'editoriale di Valentina Barbieri)
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