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recensione di Moss, D., L'Indice 1997, n. 7
Questo libro va letto e meditato da chiunque voglia aggiornarsi non solo sui risultati conseguiti dalle istituzioni dello Stato nella lotta contro la mafia ma anche sulle iniziative antimafia nella società civile.Dirò subito che al libro manca sia la forma che la coerenza di un rapporto in senso stretto.I contenuti sono decisamente eterogenei: nove saggi più o meno brevi, statistiche recenti sulla criminalità e sulla sua repressione, una cronologia dei più importanti delitti e sentenze giudiziarie dell'anno scorso, documenti di provenienza politica, scolastica e professionale, brevi riassunti delle nuove leggi e progetti di legge in tema di mafia, una bibliografia dei libri e degli articoli più importanti usciti nel 1996.
Ho terminato la mia prima lettura persuaso dell'utilità per l'edizione 1998 di un collegamento più stretto ed esplicito tra i vari contributi.Ho pensato al vantaggio di inserire letture delle tavole di statistiche, una guida sommaria al ruolo delle nuove leggi nell'ormai complicatissima normativa antimafia, e una conclusione che, commentando aspetti quantitativi e qualitativi del fenomeno, nonché gli argomenti più salienti dei singoli autori, offra un punto di vista generale sull'attuale rapporto mafia-società. Riflettendo, però, ho apprezzato i messaggi che la struttura stessa del volume aiuta a trasmettere.Indica la molteplicità e la diversità dei campi in cui si deve intervenire per estirpare la criminalità organizzata; dimostra che spesso questi campi non sono collegati tra di loro e che perciò i successi - ma anche le sconfitte - non sono quasi mai totali; e, infine, costringe il lettore a districarsi da solo tra i materiali e sviluppare così la propria coscienza antimafia.Le parole di Salvatore Lupo riassumono bene questo aspetto formativo del volume: "Un rinnovato movimento anti-mafia non può non porsi ancora il problema della scelta etica di ognuno davanti ai temi del clientelismo e dell'illegalità".
Nella sua breve introduzione,Violante elenca i maggiori successi conseguiti dalla polizia e dai giudici negli ultimi anni, ma mette subito in guardia contro un facile ottimismo.Il silenzio sul fronte dei grandi attentati e dei cadaveri eccellenti forse significa solo una ritirata tattica verso le zone di tradizionale insediamento in attesa che lo Stato abbassi di nuovo il livello di attenzione.Il ricordo dell'estrema discontinuità dell'impegno nell'ultimo mezzo secolo offrirebbe una base razionale per una strategia simile.Uno sguardo agli avvenimenti e alle statistiche per il1996 conferma l'invito alla cautela.La cronologia - cinquanta pagine di uccisioni, suicidi, attentati, arresti e condanne - fa capire, in maniera drammaticamente semplice, i molti modi in cui la violenza condiziona oggi la vita privata e pubblica in troppi paesi del Sud.Inoltre, anche se il numero di "pentiti" è cresciuto tra il1995 e il1996 (da 1052 a 1231), rimane stabile attorno ai20.000il numero degli affiliati alle organizzazioni mafiose.
Gli unici politici tra gli autori del volume (Violante e Lombardi) si lasciano entrambi tentare dall'idea di un momento di svolta definitiva nella lotta alla mafia, anche se per Lombardi la svolta (verso il successo) ha già avuto luogo nel 1996, mentre per Violante l'anno della verità sarà il 1997.Nonostante l'autorevolezza delle fonti (si ricorderà che Violante è stato presidente della Commissione parlamentare antimafia in una passata legislatura), il ragionare in questi termini sembra contrastare con l'approccio, in chiave realistica ma non pessimistica, degli altri autori.Provenienti da diverse aree professionali, condividono l'enfasi sulle difficoltà da superare, e le ambiguità da risolvere, prima di poter parlare davvero di svolte.
Sono quattro le direzioni nelle quali queste difficoltà vengono esplorate.Qual è la natura dei rapporti tra società civile e gruppi mafiosi?Come si mobilitano le aree della società civile che rifiutano questi rapporti?Che contributo possiamo aspettarci dalle maggiori istituzioni di socializzazione giovanile - Chiesa, scuola e famiglia?Come viene costruita l'informazione pubblica sulla mafia che queste istituzioni devono necessariamente utilizzare? Nel capitolo di impostazione più generale, Lupo esamina il rapporto mafia-società analizzando il significato che si può attribuire all'idea di "consenso sociale" alla mafia.Giustamente rifiuta il paragone con il tipo di consenso che i movimenti politici possono trovare, in parte perché non c'è la possibilità di esprimere liberamente il proprio consenso, ma soprattutto perché la mafia non richiede questo tipo di consenso.I gruppi mafiosi non cercano il consenso per se stessi, bensì per i loro alleati politici; i rapporti che stabiliscono con i non-mafiosi sono coercitivi e non consensuali; e le varie famiglie mafiose non sono mai riuscite a creare un'organizzazione unitaria capace di dimostrare un consenso interno, tanto meno di gestire eventuali consensi esterni.Inoltre non bisogna interpretare la difficoltà a esprimere dissenso come segno di consenso attivo.Nonostante le iniziative imprenditoriali promosse dalla legge 44/86, commentate qui da Borgomeo, in molte zone la crescita politico-affaristica del potere mafioso ha creato molti posti di lavoro, e molte sono le persone che dipendono direttamente o indirettamente dai gruppi mafiosi e che possono esprimere dissenso solo a rischio della propria sopravvivenza economica e fisica.
Sperare di distruggere questa dipendenza richiede individui coraggiosi e capacità di mobilitazione non solo occasionale.Ramella e Trigilia analizzano il profilo sociale e le attività delle 80 associazioni sorte nel Mezzogiorno, soprattutto dopo il1980, per contrastare la criminalità organizzata.Come quasi tutte le organizzazioni volontarie, sono gestite e composte soprattutto da giovani membri dei ceti medi con alti livelli di istruzione (il 40 per cento degli iscritti sono laureati).Ovviamente, a fianco di analoghe iniziative tra le categorie professionali (come le associazioni antiracket tra i commercianti), la stessa nascita di queste associazioni - di cui solo un terzo dipendente da un finanziamento pubblico - è di per sé un segnale importante di cambiamento nella società civile.Gli autori richiamano l'attenzione, però, sulla fragilità organizzativa che dipende dalla combinazione di una forte politicizzazione dei responsabili e di dimensioni associative piuttosto ridotte (solo un quarto delle associazioni hanno più di cento soci).La tentazione di usare le associazioni anche per creare consensi politici di parte rappresenta un'insidia permanente.Provoca divisioni e scissioni, e disincentiva una partecipazione più diffusa.
Perdere di vista l'obiettivo centrale del proprio specifico contributo antimafia è un pericolo che possono correre anche organizzazioni con esistenza garantita: la Chiesa e la scuola. Scordato riassume la storia ambigua dei rapporti tra la Chiesa e la mafia, riconoscendo le difficoltà nell'andar oltre una generica condanna. Il capitolo di Lombardi (ministro della pubblica istruzione nel governo Dini) contiene molte cose dalle quali difficilmente si potrebbe dissentire, ma scivola molto presto, come l'autore stesso ammette, dal tema mafia-società verso una riflessione molto più generale sui giovani e lo sviluppo. Sul tema delle risposte alla mafia, il contributo decisamente più interessante è quello della Siebert. La sua analisi delle reazioni delle familiari dà voce sia alle donne a fianco delle vittime che a quelle legate ai carnefici, irriducibili o pentiti che siano. Ragionando soprattutto sulla base di casi concreti, illustra in maniera lucida e coinvolgente come per molte delle donne esperienze e passioni personali, da un lato, e pressioni e ideali sociali, dall'altro, costruiscano dilemmi di difficilissima risoluzione.
Uno dei casi citati è l'elezione della figlia di Riina a rappresentante degli studenti nel Consiglio d'Istituto del liceo scientifico di Corleone e le reazioni che seguirono. In quali termini giudicare questo microavvenimento? Dimostrazione dell'indipendenza degli elettori? Omaggio a un potere ancora temuto? Mancanza di coscienza da parte dell'eletta che avrebbe dovuto essere coerente con la sua asserita opposizione alla mafia rifiutando di partecipare a un'elezione che rischiava proprio di dimostrare pubblicamente la forza dei legami mafiosi? Costringerla a ritirarsi avrebbe significato una prevaricazione ai suoi danni, non dissimile ad alcune prevaricazioni mafiose, schiacciando il suo destino sulla figura del padre e impedendo una sua libera scelta? Analizzare questo caso in classe forse svilupperebbe più cultura antimafia che non il ripetere distrattamente molte condanne generiche.Inoltre mostra come il significato locale di un avvenimento venga interpretato da un pubblico esterno, non solo italiano, ma anche all'estero, come dimostrano i brevi interventi di Krieger e Barbe sulle impressioni suscitate dalla mafia in Germania e in Francia.
De Luca giudica molto severamente la prassi interpretativa dei giornali italiani, indicando vari fattori come fonti di evitabili distorsioni. Tra gli altri: l'organizzazione interna che presenta i fatti mafiosi come mera cronaca senza approfondire i significati politici ed economici, la tendenza a occuparsi soprattutto dell'aspetto giudiziario, relegando così la ricerca della verità alle inchieste dei magistrati, il privilegio accordato ai tribunali delle grandi città, cosicché le scoperte fatte altrove non ricevono la dovuta attenzione. Possiamo aggiungere un altro motivo di cautela verso la notizia giudiziaria: i processi non possono che fotografare la realtà di alcuni, qualche volta molti, anni addietro. Più formativa dei giornali, è la televisione; Krieger attribuisce molta importanza al successo di "La piovra" per la formazione dell'immagine che i tedeschi hanno sia della mafia che dell'Italia. Per la prossima edizione di questo utilissimo "Rapporto", sarebbe forse interessante inserire un capitolo sulla natura e sugli effetti della cultura audiovisiva sulla mafia che i giovani assorbono fuori dalle scuole e dalle parrocchie del Mezzogiorno.
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