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Jamyang Norbu è ben conosciuto nell'ambiente della diaspora tibetana. Si è distinto per le sue posizioni che tidamente riportavano il dissenso interno verso la politica del Dalai Lama giudicata troppo permisiva ed inconcludente. Norbu ci soprende con un libro affasscinante, gustoso e ricco di echi holmesiani (con un occhio a Kipling). Conosco la edizione inglese e fin dalle prime pagine nella mente mi risuonavano gli scritti di Doyle. "È lui, proprio lui!" esclamavo mentre la vicenda mi avviluppava come un serpente sulla preda. Purtroppo la parte finale lascia a desiderare, troppa fantasy alla "terzo occhio". Ed allora un "grazie" alla casa editrice Instar libri, che non si è limitata a scegliere un buon lavoro e a fornircelo nell'ottima traduzione di Grazia Maria Griffini, ma ha anche curato nei minimi particolari la presentazione del volume, dalla copertina "vecchio stile" al disegno del mandala (le immagini della Ruota della Vita che disegna anche il lama di Kim) che si va completando all'inizio di ogni capitolo, fino alla scelta del carattere Baskerville per comporre il testo. Del resto "Per due anni viaggiai nel Tibet, pertanto, e mi interessò moltissimo la visita a Lhasa, dove trascorsi alcuni giorni in compagnia del Dalai-lama. Lei avrà forse letto la relazione delle esplorazioni di quei luoghi compiute da un norvegese di nome Sigerson, ma sono sicuro che non le sarà mai venuto in mente che attraverso quelle relazioni le giungevano notizie del suo amico." Così scrisse Arthur Conan Doyle nel "La casa vuota".
Sono un appassionato di Holmes e, se buoni, mi vanno bene anche i cosiddetti apocrifi, come questo. Ma quando si vedono pietre magiche, onde mentali che piegano le persone, danze di folletti e spiriti maligni, Moriarty che resuscita, ringiovanisce e diviene Superman, viene sconfitto dalla pietra magica, riinvecchia ed esplode in mille bolle blu, be' allora non mi diverto più. Ciao a tutti.
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