La rivista Script, fondata nel 1992, era nata da un gruppo di sceneggiatori con l'ambizione di innovare e modernizzare il cinema italiano. Un cinema la cui presunta parte migliore - autori, critica, università - era ancora immersa nelle acque della Nouvelle Vague. Quella Nuova Onda, su cui avevano surfato i ragazzi degli anni Sessanta, spentasi nel resto del mondo, dopo trent'anni si era trasformata nel nostro paese in una palude. Quello che presentiamo è il primo di tre volumetti che antologizzano un'esperienza - durata quasi vent'anni - che ha influenzato una generazione non solo di scrittori ma, più in generale, di giovani professionisti del cinema. E ci piace pensare abbia fatto venire dubbi e ripensamenti a chi ha gestito la fallimentare politica culturale e industriale del nostro comparto audiovisivo. Scrive Andrea Minuz nella sua Introduzione: «Sfogliando la raccolta di articoli, saggi, interventi che avete tra le mani vi renderete subito conto, sin dalle prime pagine, perché Script è "una rivista che viene dal futuro". Se il primo volume si intitola Per una diversa idea di cinema è perché le idee che circolavano dentro Script erano davvero diverse rispetto a tutto quello che si leggeva e diceva nel mondo del cinema italiano di quegli anni. [...] Ci trovo dentro cose mai lette prima: l'idea che la regia è un iceberg e la parte importante sta sotto, la convinzione che gli sceneggiatori sono i veri creatori del film [...] che il cinema è uno sport di squadra e il film un prodotto pensato in funzione di un investimento e di un mercato, non il trastullo narcisistico di registi presuntuosi che giocano a fare Cassavetes con i fondi pubblici e così via. Sarebbe però riduttivo pensare a Script come a una rivista di critica cinematografica. In quelle pagine prendeva forma una precisa idea di politica culturale. C'erano diverse proposte concrete che ahimè all'epoca restarono lettera morta, salvo vederle messe in pratica poi un po' ovunque, e ora inseguite anche qui, tra mille difficoltà e vecchie resistenze ancora fortissime, col solito, tipico ritardo italiano, che non di rado diventa poi fatale».
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