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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Noioso. Trama monotona e personaggi senza scheletro. Non lo consiglio. Anche la descrizione della città, da persona che la conosce molto bene è insulsa
Questo libro trasmette un continuo stato di torpore, di confusione e senso di incertezza. È una lettura veloce, ma in poche pagine si percepisce benissimo quella frenesia che solo a New York si può ritrovare. Lettura piacevole, certo non è per me il romanzo del secolo, ma mi fa piacere averlo dentro di me e riscoprirlo di tanto in tanto.
Scritto in seconda persona costringe a entrare a piè pari nel libro e a volte a gamba tesa verso la propria autoindulgenza e autocommiserazione. Anche se è passato un po' di tempo da quella/e New York rimane attuale e divertente. Il ruolo della collega? Epico!
Recensioni
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(recensione pubblicata per l'edizione del 1986)
recensione di Sabbadini, S., L'Indice 1987, n. 2
Si sa bene, ormai, che è dagli anni '50, da "The Catcher in the Rye" almeno, che i nipotini di Huck Finn non navigano più lungo il grande fiume, ma, come tutti i nuovi pìcari, si aggirano in cerca d'iniziazione, sempre più sofferenti, tra le mille luci della città. Incompresi,orfani, usciti da famiglie sconvolte; abbandonati da amica, moglie, compagna; cacciati da scuola, università, lavori e impieghi vari; paiono attraversare attoniti l'inferno urbano sino ad arrivare, come il loro più adulto padrino e santo rappresentante, Herzog, quasi all'orlo della follia: ma alla fine tutto si risolverà, generalmente e preferibilmente tramite un'epifania familiare - immagini di papà e mamme morte, vecchie cose e case di famiglia, sapori d'infanzia, - tutto, insomma, liricamente si concilierà, acquisterà un suo senso e una sua chiarezza; si riprenderà a vivere.
Anche di fronte al successo di "Le Mille Luci di New York" di Jay Mc Inerney, come d'altra parte sempre più spesso accade, è difficile fare una recensione del libro senza recensire il suo pubblico e la sua campagna promozionale fatta di tours internazionali, foto d'attor giovane, lunghi servizi stampati prima ancora che il libro sia uscito - (i recensori, si sa, leggono in bozze, collaborando e non distinguendosi più dagli uffici stampa) - dal tono vagamente sociologico, cioè fitto di quelle etichette che di lì a poco serviranno all'affermazione di mode mirate: e nel caso specifico, dopo gli yuppies e i preppies ci si aspetta già la scarpa minimalista e il look post-lost.
Negli Stati Uniti il mercato per simili operazioni è quello degli studenti dei colleges, ormai abbastanza vasto se non per competere con quello delle casalinghe che acquistano Robbins facendo la spesa, almeno per permettere l'affermazione di generi da noi ancora sconosciuti come il campus novel. In Europa, invece, il libro si rivolge a tutti i giovani col loro bel mito americano dentro, quel mito che fa dell'America il gigantesco teatro dove vengono esposte le merci del mondo, quel teatro con la sua bella fila di voli charter e richieste di borse di studio. E questi lettori, che sono poi gli stessi della Jong, di Leavitt, dei films di Woody Allen e delle "commedie urbane sofisticate", fruiscono questi romanzi capovolgendone le intenzioni, o forse, meglio, realizzandone quelle vere e nascoste. Perché se il messaggio letterale vorrebbe essere di angoscia e sofferenza, quello reale è di invidia e identificazione: com'è bello "farsi" in un loft di Soho, essere piantati da una moglie ed essere consolati da mille modelle, fuggire in case isolate delle Berkshires e piangersi addosso nei supermercati giganteschi e notturni! Non importa quale sia il tasso di realtà di questi sogni, ma è della loro stoffa che è fatto il nuovo mito americano.
L'apporto particolare di Mc Inerney al genere non è di gran rilevanza: l'aggiornamento dei dilemmi da giovane Holden è perseguito con l'aggiunta d'una cocaina che non fa male, come i bicchieri di whisky degli investigatori dei romanzi gialli. Per il resto i passaggi topici del genere sono scrupolosamente osservati: abbandono da parte della moglie, indossatrice, ma costante presenza femminile; licenziamento, ma costante abbondanza di soldi; lutto familiare, con morte della madre, e relativo romanzo psicoanalitico; epifania finale, addirittura con il "sapore del pane" che riconcilia con la figura materna.
Anche le varianti sono collaudate, quelle culturali non sono certo fatte per spiazzare nessuno: si va da "Qualche titolo a caso basta a indurre in te uno stato di vertigine: "Mentre morivo, Sotto il vulcano, Essere e tempo, Anna Karenina, I fratelli Karamazov". Devi aver avuto una gioventù ambiziosa... " a un "Volevi essere Dylan Thomas senza la pancia, F. Scott Fitzgerald senza l'esaurimento nervoso...". Lo stesso avviene per una psicologia sempre in bilico tra A. Miller, T. Williams e il tormentone su chi era il più amato dalla mamma : "Non hai mai dovuto fare il minimo sforzo per avere quello che volevi e non hai intenzione di cominciare adesso, vero? Sempre promosso, ragazze a piovere, premi lavori prestigiosi - ti casca tutto in grembo, eh? Non devi nemmeno fare lo sforzo di andartele a cercare, queste cose. Così immagino che sia facile dar tutto per scontato...".
Come si vede dalle citazioni, sul piano tecnico, l'unica originalità è data dalla scelta, infrequente, della seconda persona al posto della prima che ci si sarebbe aspettata, così da allontanare l'ansito autobiografico in una parvenza d'oggettività nouveau-romanzesca. Per il resto, la cosa migliore del romanzo è la citazione hemingwayana d'apertura: "Come hai fatto ad andare in rovina?" chiese Bill. "In due modi", rispose Mike, "gradatamente prima, e poi di colpo"
Nel romanzo di Mc Inerney di rovina si parla soltanto, ma non si ha la minima idea di cosa sia.
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