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In questo 2011 alto è il rischio di celebrare il centocinquantesimo dell'unità d'Italia in contemporanea a un aggravarsi del processo di disarticolazione, se non disgregazione, dell'assetto statuale nazionale, in corso già da alcuni anni. Probabilmente, fine della Guerra fredda, Maastricht e processo di allargamento e integrazione dell'Unione Europea hanno accelerato il disvelamento di quanto fragili o contraddittori fossero i compromessi tra centro e periferia di alcuni stati-nazione sorti nell'Ottocento. In questo scenario paradossale, la riflessione di Fisichella aiuta a pensare criticamente il presente, frenando le più facili e conformistiche derive verso l'elogio della disunità d'Italia "senza se e senza ma". Pur lasciando qua e là trasparire le proprie simpatie per la monarchia sabauda, Fisichella tratteggia una storia dell'idea nazionale italiana secondo un percorso che ha molto di accidentato e di accidentale, trovando nel moto risorgimentale un momento per certi versi "miracoloso", in cui convergono in modo felice e fecondo per la causa unitaria numerose volontà, ora di singole personalità politiche, come Cavour e Vittorio Emanuele II oltre che Garibaldi, ora di intere collettività statuali, come Francia e Inghilterra. Fisichella ci mostra inoltre che, nella nascita di una nazione e nel suo farsi stato, molti processi sono di lunghissimo periodo e che l'Italia non ha poi in fondo percorso soltanto tracciati di Nation-building e State-building difformi da quelli di altri paesi europei. Ha piuttosto faticato a trovare un'istituzione proto-statuale capace di fungere da catalizzatore, fatica causata dalla "tradizione politica prevalente" della penisola italiana, che, anche per Fisichella, è intessuta di municipalismi, regionalismi e "oligarchismi mercantili". E si aggiunga il ruolo della chiesa.
Danilo Breschi
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