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un ottimo libro di coraggio, passione, sentimenti ma senza retorica. Crainz non nasconde le cose che non vanno. E' duro nei commenti rispetto coloro che vivono alla giornata cercando di dare il minimo ed ottenere il massimo. L'ideale è ciò che consente all'autore di superare fatiche e difficoltà e è il filo conduttore di tutto il racconto
Per chi ormai diversi anni fa ha vissuto l'esperienza del medico di complemento, anche se in contesti operativi lontani anni luce da quelli descritti, è stato un bagno tonificante nel proprio vissuto, in esperienze subite e sublimate, in gerghi e situazioni ormai lontane, ma che saltano subito fuori dai recessi della memoria. Ufficiale medico di complemento, razza ormai estinta, incerto incrocio tra un medico alle prime armi (neolaureato o specializzando, ma inesorabilmente richiamato a prestare il servizio di leva, lasciando in sospeso studi e carriera per quei 15 mesi, tra il corso a Firenze e prima nomina) e uno pseudo soldato, in un esercito di leva formato da una massa di ragazzotti, quasi sempre ben poco entusiasti del loro status e una "classe" di professionisti, dai medici di carriera agli ufficiali e sottufficiali d'arma (una bolgia tra prima nomina, raffermati, trattenuti, in SPE, ecc., fino al Gotha di quelli d'Accademia). Piano piano, dopo le prime incerte apparizioni dal Libano (1982) in poi, l'Esercito si è trasformato da carrozzone statale in una (quasi) macchina bellica (magari, visti i mezzi disponibili, da guerra limitata ..). L'Autore vive un'esperienza di transizione, in un reparto di elite (ma non troppo, viste le innumerevoli magagne illustrate) con le classiche scene (italiche, ma in realtà comuni a tutti gli eserciti) di imboscati, inefficienti, impreparati, inadatti al ruolo. Ma anche di entusiasti, di volontari, di genio italico applicato, di bravi ragazzi che si sforzano di compiere il propio dovere. Una tragedia ? Non nei risultati, con un lavoro difficilissimo, svolto in uno degli scenari di guerra peggiori del mondo, fin dai tempi di Alessandro, realizzato con dignità e decoro, nonostante tutto e tutti, amici, nemici, alleati e commilitoni. Leggete questo libro, assaporatelo e, se ne avete, confrontatelo con le vostre esperienze. Dalla prefazione si evince una possibile seconda puntata, con nuove esperienze in Iraq. La aspettiamo con ansia.
E' un ottimo libro: i diari, specie di guerra sono spesso un lungo elenco di fatti e fattarelli di scarso interesse e di ristretta visione. Ma quest'opera è una boccata di ossigeno in un panorama (desolante) di reportage "sul campo" scritti da Roma o dal Palestine, di embedded nelle retrovie o di grilli parlanti che raccontano esperienze mai vissute. L'Autore è veramente un soggetto interessante: da una parte l'anima del guerriero in pectore (le tradizioni, la famiglia, l'amore per le armi, le pratiche sportive) dall'altra il medico (anche se di una specialità "operativa", come l'ortopedia) con uno strano mix ben illustrato da una foto allegata che mostra un intervento d'urgenza fatto con la pistola infilata nella cintura che evoca scenari sinistri e per noi sconosciuti. Certo, la storia è solo il vissuto di un'esperienza in ambiente ostile, senza una connotazione didattica (scenari, retroscena, inquadramento della situazione generale). Non è un resoconto di un'operazione di guerra in senso stretto, visto che i riferimenti ad altri sono minimi e solo di pochissimi coprotagonisti si riesce a delineare il contorno. Quello che emerge è l'entusiasmo del volontario (una specie ormai estinta, l'ufficiale di complemento - "animale" spesso inutile mal tollerato dai superiori e - spesso - anche dai sottufficiali anziani di carriera) che si trova a svolgere un compito per cui è preparato (il traumatologo in zona di guerra - anche questa è un'eccezione per la sanità militare: di solito i reparti operativi ricevevano ginecologi e pediatri, mentre anestesisti e chirurghi spesso vengono imboscati al Celio o in qualche comando)in un ambiente ostile sia a livello geoclimatico che umano (a volte anche tra i commilitoni). A parte qualche frase sopra le righe (il rimpianto dell'amata Glock regalo di laurea ....) colpisce proprio il disincanto verso gli afghani "buoni o cattivi" che fossero. Alla fine l'amara conclusione sembra essere "Ma ne valeva la pena ??"
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