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Mons. Montini. Chiesa cattolica e scontri di civiltà nella prima metà del Novecento
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Mons. Montini. Chiesa cattolica e scontri di civiltà nella prima metà del Novecento - Fulvio De Giorgi - copertina
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Mons. Montini. Chiesa cattolica e scontri di civiltà nella prima metà del Novecento

Descrizione


Il volume ricostruisce la biografia intellettuale di Giovanni Battista Montini dalla nascita (1897) alle soglie dell'episcopato milanese nel 1954, illuminando dunque la fase, fondamentale ma non abbastanza conosciuta, della formazione del futuro Paolo VI, del suo impegno come guida delle élites giovanili cattoliche e poi nella Segreteria di Stato, a stretto contatto prima con Pio XI e poi con Pio XII. Montini maturò in quegli anni una visione caratterizzata da una grande apertura alla civiltà moderna. Anche utilizzando documentazione inedita, De Giorgi porta in luce le riflessioni originali di quella che fu probabilmente la personalità più importante, a livello mondiale, del Novecento cattolico italiano, inserendole nel più generale contesto di storia culturale, sul piano sia civile sia ecclesiale.
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Dettagli

2012
26 gennaio 2012
357 p., Brossura
9788815234506

Voce della critica

  Il pontificato di Paolo VI ha rappresentato "un punto di svolta periodizzante" perché in quegli anni la chiesa visse un'occasione importante di "ammodernamento", divenendo una "sicura protagonista critica e dialogante" della modernità. Visto il ruolo nella cristianità contemporanea riconosciuto a Giovanni Battista Montini, non stupisce che De Giorgi, tra i più raffinati studiosi di storia della chiesa otto-novecentesca, abbia voluto ricostruire, sulla base di una ricca documentazione in parte inedita, la sua biografia intellettuale dalla formazione a Brescia fino alla nomina ad arcivescovo di Milano nel 1954. Lo storico si sofferma sul contesto bresciano e sull'ambiente familiare, realtà intrecciate perché dopo la morte di Tovini fu posto il padre Giorgio alla testa del laicato cittadino. De Giorgi parla di "modello bresciano", ancorato in una cultura intransigente ma non innervato da antirosminianesimo, e non ostile alla civiltà moderna. La convinzione era che questa dovesse essere penetrata e conquistata dall'interno. Si trattava di un cattolicesimo attivo, che aveva saputo unire carità e modernità, e proporre multiformi attività sociali (cooperative, società di mutuo soccorso, banche popolari). Montini, intriso di tale spirito, e vicino alla sensibilità sociale e politica di Toniolo, negli anni che precedettero la Grande guerra non mancò di apprezzare la sensibilità religiosa di Semeria e Bonomelli, ma anche di leggere Newman, Mercier, Fonsegrive, Ollé Laprune, Blondel e Laberthonnière, tutti studiosi attenti alle sfide intellettuali della modernità. Con la costituzione nel 1919 del Partito popolare (di cui il padre Giorgio divenne deputato), il gruppo bresciano assunse in esso una posizione centrista, lontano dalle posizioni miglioline sindacalprogressiste, ma anche da quelle prone di fronte al fascismo. Dal 1920 Montini visse a Roma, e l'anno successivo entrò nell'Accademia dei Nobili Ecclesiastici di piazza della Minerva; nel 1925 fu promosso minutante nella Segreteria di stato e nominato assistente degli universitari cattolici. In questo suo ruolo, in armonia con gli intenti di Pio XI di riconquista della società attraverso l'associazionismo laico, e in sintonia con Gemelli, con il quale condivideva la convinzione di dover superare un cattolicesimo passivo e la volontà di costituire un'Azione cattolica di massa, non alternativa a una Fuci d'élite, aderì all'idea di un cattolicesimo militante. Ma mentre Gemelli aveva individuato nei Missionari della Regalità di Cristo una sorta di "rivoluzionari di professione" per conquistare la società manu militari, Montini si mostrò lontano da tale intonazione militare, oltre che dall'idea di un totalitarismo della civiltà cristiana e dalla polemica contro il moderno del rettore della Cattolica. Anche a proposito del Concordato sono note le sue posizioni critiche, convinto che tra la civiltà cristiana e quella fascista non ci fosse conciliazione possibile, e perplesso perché avvertiva il rischio di una caduta della tensione militante cattolica. Avverso nei confronti dell'idealismo gentiliano, fondamento ideologico dello stato etico, e preoccupato per la religione politica pagana propugnata dal fascismo, Montini scopriva, anche grazie a padre Bevilacqua, il pensiero di Maritain e maturava un interesse nei confronti del mondo cattolico tedesco, a cui specialmente si era rivolta la Morcelliana, grazie alla mediazione di Bendiscioli. Così mentre il fascismo intendeva assorbire la Roma della chiesa nella Roma fascista, e i clerico-fascisti pensavano di poterle far coincidere armonicamente, Montini volle ribadirne l'antitesi, alla quale poi, nell'ambito del dibattito sulla crisi della civiltà che si sviluppò negli anni trenta, si aggiunse la convinzione dell'alterità tra romanità e germanesimo. L'occupazione nazista dell'Austria, le leggi razziali e il nuovo scontro sull'Azione cattolica crearono il clima perché Montini potesse, sulla scia della "nuova cristianità" maritainiana, tentare una propria proposta religiosa e culturale, condivisa dall'amico De Gasperi. Nominato nel 1939 sostituto (insieme a Tardini) del nuovo pontefice, con lo scoppio della guerra si mostrò vicino a quel gruppo di intellettuali che cominciò a vedersi a casa Padovani per discutere della situazione politica. Protagonista delle vicende di quel periodo – De Giorgi sostiene che avesse condiviso la scelta di Pio XII del "silenzio" sullo sterminio ebraico – Montini fu tra i sostenitori del partito della Democrazia cristiana. La sua partenza nel 1954 da Roma, dovuta a screzi con gli ambienti curiali, a parere dello storico, risulta analoga all'abbandono della politica di Dossetti. Entrambi ambivano a una "nuova ecclesialità", premessa per la creazione di una civiltà dei cristiani all'altezza delle sfide moderne: il loro sogno si sarebbe realizzato con il Concilio. Daniela Saresella

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