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I mozartiani si dividono in due categorie: quelli per cui il Requiem è un capolavoro e quelli che farebbero finire il catalogo al K 625 considerando l'ultima opera sacra un torso incompiuto e poco rappresentativo. Ebbene anche questi ultimi terminata la lettura del libro di Napolitano vedranno il Requiem sotto nuova luce ravvisando in esso un simbolo del lato problematico e tragico di Mozart.
Al solito ciò che conta è il viaggio più che la meta. E con la prospettiva del Requiem il viaggio intrapreso da Napolitano riesce a cambiare a poco a poco il nostro modo di recepire la musica di Mozart. L'autore si muove su tre livelli: scegliendo con accortezza gli esempi musicali al fine di ripercorrere la varietà di sfumature della parabola creativa mozartiana ricostruendo le idee che fanno da sfondo alla musica e riflettendo sui temi eterni dell'esistenza umana a cui la musica rimanda.
La spinta morale che conferisce unità a queste pagine è quella di liberare le complessità nascoste sotto la superficie levigata dello stile mozartiano. Secondo Napolitano questa levigatezza della forma ha dissuaso troppo spesso i critici dall'andare più a fondo lasciando che idealizzazioni e stereotipi si sostituissero al messaggio autentico di questa musica. La tendenza a problematizzarne l'ascolto raggiunge talvolta livelli di speculazione tali che il lettore non abituato all'aria rarefatta dei massimi sistemi stenta a seguire il passo e a riportare l'universale al particolare. Questo eccesso di zelo è tuttavia proporzionato alla pervicacia dei luoghi comuni contro cui Napolitano si scaglia; inoltre è segno di un altro pregio del libro la partecipazione in prima persona alla materia trattata eccezione più che regola nell'odierna letteratura musicologica.
Ecco in breve le idee proposte dal libro. Innanzitutto per aprire il suo discorso alle zone d'ombra della musica di Mozart l'autore smonta il più insidioso dei pregiudizi: quello della naturale felicità mozartiana categoria capace di livellare ogni differenza espressiva sotto il segno di un'armonia prestabilita. Così fedele al principio per cui aver coscienza vuol dire differenziare Napolitano delinea una fenomenologia dettagliata della felicità mozartiana cercandone le tracce soprattutto nel teatro musicale. Ecco quindi la felicità che emana dalla natura la felicità dell'estasi la felicità contagiosa dell'estro creativo la felicità improvvisa che si libera dopo il superamento di un ostacolo e infine la felicità conquistata attraverso la virtù. In tutti questi casi la felicità è il frutto di una partecipazione attiva di cultura e natura e di un attaccamento alla vita. Viene così apertamente criticata l'idea diffusa che la felicità mozartiana sia una felicità nostalgica rimpianto di una perduta età dell'oro.
Sgombrato il campo da tentazioni romantiche e decadentistiche Napolitano affronta con pari meticolosità il lato oscuro del genio mozartiano. Si profila così l'immagine di un compositore che osa avventurarsi nelle regioni del sacro e del sublime e però trascura di conciliare queste fulminee rivelazioni in un ordine formale compiuto. In questo ritratto frammentario fa la sua comparsa un'illuminante definizione del tragico mozartiano che costituisce il punto più profondo del libro: tragico per Mozart non è il conflitto ma l'assenza il venir meno di un mondo con cui confrontarsi e a cui donare il proprio talento.
Questa fondamentale intuizione schiude prospettive ermeneutiche inedite per l'enigmatica produzione degli ultimi anni non più da intendersi come tentativo di fuga dal mondo né come commiato dalla vita arricchito da presagi di morte. Essa acquista nuovo senso se rapportata a quanto è avvenuto prima a quella pienezza di vita che nei tristi ultimi giorni è solo un ricordo. L'introspezione romantica è alle porte ma Napolitano rifiuta ogni lettura in questi termini troppo salda essendo in Mozart la fiducia nella vita e nella musica che è per questo un grande inno al presente.
Alberto Bosco
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