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Anno edizione: 2013
Anno edizione: 2016
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Può un essere umano superare l'orrore di cui è stato protagonista e fare ritorno a una "vita normale"? È possibile riadattarsi di nuovo in mezzo alla gente e riallacciare rapporti sociali e affettivi dopo aver vissuto l'inimmaginabile? Questo libro parla proprio di questo straziante dilemma e apre le sue dolorosissime pagine al lettore che, messo di fronte all'esperienza tragica del protagonista nel lager, si trova a rivivere con lui non solo l'orrore di Auschwitz (cui non si è mai preparati abbastanza), ma anche l'impossibilità di riprendere in mano l'esistenza là dove si era interrotta. Nessun futuro sembra possibile per l'ex-inquilino del Block 21, dove ogni dignità è stata calpestata nella notte più buia dell'umanità, perché l'orrore più grande, per un sopravvissuto, resta quello del ricordo e della memoria, depositata in un inseparabile vasetto di vetro. A quasi nulla può l'amore o la famiglia o la giustizia, descritta in modo farsesco e surreale con il linguaggio ridicolo dei codici, dei tribunali post-bellici. Unico sentimento praticabile resta l'amicizia con chi ha condiviso la stessa mostruosa esperienza e vive ancora per raccontarla. Perché è un dovere non dimenticare. Una scrittura profonda e struggente, che non indulge in facili pietismi, ma afferra il cuore del lettore in una stretta e lo trascina fino allo sconvolgente finale, con il racconto di un Natale "agghiacciante", letteralmente agli antipodi del canto di speranza e fiducia nell'umanità uscito dalla penna di Dickens. Ma l'ospite inatteso di una vecchia tradizione natalizia polacca può ancora bussare alla porta...
Può un essere umano superare l'orrore di cui è stato protagonista e fare ritorno a una "vita normale"? È possibile riadattarsi di nuovo in mezzo alla gente e riallacciare rapporti sociali e affettivi dopo aver vissuto l'inimmaginabile? Questo libro parla proprio di questo straziante dilemma e apre le sue dolorosissime pagine al lettore che, messo di fronte all'esperienza tragica del protagonista nel lager, si trova a rivivere con lui non solo l'orrore di Auschwitz (cui non si è mai preparati abbastanza), ma anche l'impossibilità di riprendere in mano l'esistenza là dove si era interrotta. Nessun futuro sembra possibile per l'ex-inquilino del Block 21, dove ogni dignità è stata calpestata nella notte più buia dell'umanità, perché l'orrore più grande, per un sopravvissuto, resta quello del ricordo e della memoria, depositata in un inseparabile vasetto di vetro. A quasi nulla può l'amore o la famiglia o la giustizia, descritta in modo farsesco e surreale con il linguaggio ridicolo dei codici, dei tribunali post-bellici. Unico sentimento praticabile resta l'amicizia con chi ha condiviso la stessa mostruosa esperienza e vive ancora per raccontarla. Perché è un dovere non dimenticare. Una scrittura profonda e struggente, che non indulge in facili pietismi, ma afferra il cuore del lettore in una stretta e lo trascina fino allo sconvolgente finale, con il racconto di un Natale "agghiacciante", letteralmente agli antipodi del canto di speranza e fiducia nell'umanità uscito dalla penna di Dickens. Ma l'ospite inatteso di una vecchia tradizione natalizia polacca può ancora bussare alla porta...
Io non l'ho trovato per niente lento, ma molto bello e con personaggi e situazioni credibili.
Recensioni
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Francoforte, giugno 1964. Dopo un’udienza del Processo Auschwitz un uomo si accascia nel corridoio. Una donna lo soccorre. È l’inizio di una storia d’amore bellissima e tormentata - non potrebbe essere diversa perché lui, Heiner Rosseck, è un uomo tormentato, vittima di ricordi che non possono essere relegati nel passato. Perché Heiner è vissuto per questo, è sopravvissuto ad Auschwitz per portare testimonianza, perché tutti sapessero, perché giustizia venisse fatta. Per poi trovarsi davanti un avvocato difensore che rivolge domande che suonano offensive per chi era ‘là’ - c’era una porta o c’era una tenda? Che ora era? Che giorno era? c’era una porta o c’era una tenda? A destra o a sinistra? Come fa ad essere sicuro? - o per dover ascoltare imputati assassini che sostengono di aver compiuto un atto di misericordia, accelerando la morte di uomini che erano già in punto di morte. Che si sentono non colpevoli ‘davanti a Dio e davanti agli uomini’. Inoltre, erano gli ordini, agli ordini si ubbidisce.
Heiner Rosseck aveva ventidue anni quando era stato arrestato e portato ad Auschwitz come detenuto politico. La sua vita si sarebbe divisa in un ‘prima’ di giovinezza, di amore e di lotta contro il nazismo, un ‘là’ di orrore infinito, un ‘dopo’ difficile perché nessuno voleva sentire quello che lui aveva da raccontare, nessuno ci credeva, perfino la moglie lo aveva lasciato portandosi via la loro figlia: non si può vivere con un uomo che continua ad abitare ad Auschwitz, nella sua mente e nei suoi incubi. L’incontro con Lena, l’interprete che è nata a Danzica, una tedesca sui generis, alla fine. Riuscirà a funzionare il loro amore?
Ne “La notte più buia” Monika Held è riuscita in un’impresa non facile: darci qualcosa di nuovo sui campi di sterminio, soprattutto sull’esperienza umana di chi ci ha vissuto ed è vissuto per raccontarlo, soprattutto sull’impossibilità di dimenticare, di venire a patti, di riprendere il corso di una vita che non potrà mai più essere la stessa, perché tutto, proprio tutto - la propria fisicità, il linguaggio, la natura - è stato cambiato radicalmente. Una rampa non è una semplice rampa, fare una selezione non è semplicemente scegliere, perfino fare una doccia non è innocuo.
Heiner Rosseck è un uomo che amiamo, insieme ai suoi incubi. Un personaggio che cerchiamo di capire, insieme a Lena, altro personaggio straordinario che lotta con se stessa per non soccombere davanti all’impossibilità di pareggiare la bilancia: che cosa mai ha di straordinario la sua vita, paragonata a quella di Heiner? Lena lotta perché Heiner non smetta di lottare - ascolta all’infinito le sue storie che incominciano con ‘guarda, Lena’, le confronta con quelle che sente dagli amici di Heiner per cui prova un filo di gelosia. È qualcosa di unico, quello che unisce Heiner agli uomini conosciuti nel campo. Si sono salvati la vita l’un l’altro, resistendo perché l’altro non cedesse. È un sentimento che va al di là dell’amore, e Lena se ne rende conto quando lei e Heiner decidono di partire, di tornare in Polonia, di andare di nuovo ‘là’ per esorcizzare le ombre, per vincere la paura - “Non c’è più paura in questo luogo” è il titolo originale del libro - e incontrano i vecchi amici con cui non c’è bisogno di spiegare nulla e le loro storie si mescolano, quasi che l’uno si appropriasse della storia dell’altro. Una, in particolare, è sconvolgente.
La storia buia di una delle tanti notti buie che avrebbe dovuto invece scintillare di luci: le SS avevano eretto un grande albero di Natale nella piazza del campo e avevano fatto uscire tutti i prigionieri. Poi avevano ordinato di andare a prendere quelle larve di uomini conosciuti con il nome di Muselmann e di depositarli ai piedi dell’albero. Infine, con una temperatura di -34°, avevano ordinato che venissero innaffiati d’acqua: erano diventati pacchetti di Natale di ghiaccio.
Questo è il romanzo di una tragedia che non dobbiamo dimenticare, ma è anche un romanzo che parla d’amore e della forza dell’amicizia, più grande ancora di quella dell’amore, la fiamma che riesce ad illuminare perfino la notte più buia.
A cura di Wuz.it
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