Riflettere sull'Italia meridionale, sul suo persistente ritardo economico, partendo dalle prestazioni delle sue maggiori città non è una prospettiva metodologica usuale. L'aveva proposta molto tempo addietro, in un libro importante e dimenticato (
Sviluppo industriale e questione urbana, Giuffré, 1976), un meridionalista d'eccezione, Salvatore Cafiero. Poi, la lettura macroregionale delle disparità territoriali dell'Italia, con le sue semplificazioni e distorsioni, aveva definitivamente preso il sopravvento e il tema del contributo delle città allo sviluppo economico italiano è scivolato in secondo piano, fino a scomparire. Per andare oltre le retoriche macroregionali nel discorso pubblico sul Mezzogiorno per capire quanto le città fossero responsabili del suo ritardo economico si sono dovuti attendere molti anni. Si è dovuto attendere che il "paradigma distrettuale" percolasse dal Centro verso Sud, a metà degli anni novanta (Giorgio Bodo e Gianfranco Viesti,
La grande svolta. Il Mezzogiorno nell'Italia degli anni Novanta, Donzelli, 1997), facendo emergere le profonde differenze nei caratteri strutturali e nelle prestazioni dei sistemi locali dell'Italia meridionale. Si è dovuto attendere che la "nuova politica territoriale", progettata all'inizio dello scorso decennio nel Dipartimento per le politiche di sviluppo (di cui abbiamo il racconto di uno dei suoi protagonisti; Fabrizio Barca,
L'Italia frenata, Donzelli, 2006), facesse comprendere l'importanza dei "luoghi" e della "conoscenza locale" come chiavi di lettura dello sviluppo regionale e nazionale, e come ancoraggio delle politiche di sviluppo economico. Si è dovuto attendere, infine, questo libro, che raccoglie l'impegnativo e originale lavoro di un gruppo di ricerca della Fondazione Res guidato da Paola Casavola e Carlo Trigilia. Un libro che segna una cesura negli studi sul Mezzogiorno, riportando le sue città, e la loro capacità di autogoverno, al centro della riflessione. Il gruppo di ricerca della Fondazione Res studia le città italiane e riesce a osservare un fenomeno elementare quanto fondamentale da una prospettiva economica: molte città sottoutilizzano il capitale di cui dispongono. Come conseguenza, generano un ammontare di benessere e di innovazione e investimento inferiori a quelli che potrebbero generare. Si tratta di un'osservazione sperimentale, un "fenomeno" che si è delineato alla fine di un lungo e complesso lavoro di ricerca, condotto in parte "sul campo". Un fenomeno che nel libro si propone come una causa del ritardo economico del Mezzogiorno. Sarebbero, infatti, soprattutto le città dell'Italia meridionale a dimostrarsi incapaci di utilizzare il capitale di cui già dispongono. Come l'analisi empirica suggerisce, ciò che le contraddistingue non sarebbe solamente la carenza di capitale, sulla quale troppo spesso si richiama l'attenzione. Gli autori si soffermano soltanto su tre elementi del capitale territoriale: il "patrimonio culturale e ambientale", la "conoscenza scientifica" e la "conoscenza pratica". Non perché gli altri elementi, quelli tradizionalmente più studiati (macchine e strumenti, infrastrutture logistiche, capitale umano e così via), non siano ritenuti importanti, ma perché quelli presi in considerazione, in genere trascurati, sembrano in effetti contribuire in misura rilevante a spiegare le prestazioni delle città del Mezzogiorno, le prestazioni attuali e, soprattutto, quelle potenziali. La ricerca si propone come un ampio e attento studio quantitativo. L'obiettivo principale è misurare la "dotazione" e il "grado di utilizzo" nel libro definito "grado di attivazione" dei tre tipi di capitale sopra indicati. Misurazione che apre la strada a un'analisi comparata e che permette di giungere all'osservazione sperimentale sopra richiamata. La scarsa dotazione di capitale delle città resta, certo, un disequilibrio da colmare. Ma i risultati di questa ricerca ci dicono che ancora più importante, a questo punto della storia economica e sociale del Mezzogiorno, è aumentare il "grado di attivazione" del capitale urbano. La sottoutilizzazione del capitale delle città è proposta nel libro come uno dei fattori esplicativi del ritardo economico del Mezzogiorno. Ma questa caratteristica, una volta osservata, solleva inevitabilmente anche un'altra questione teorica: perché sono soprattutto le città del Mezzogiorno a sottoutilizzare il capitale? Nella ricerca guidata da Paola Casavola e Carlo Trigilia si inizia soltanto a esplorare questo tema. Ma per quanto preliminare sia la risposta che viene data, essa è sufficiente per corroborare la tesi che il ritardo economico del Mezzogiorno sia in larga misura la conseguenza di un'inadeguatezza istituzionale, dell'incapacità di autogoverno dei suoi principali sistemi locali, ovvero delle sue città. Ciò di cui il Mezzogiorno (ma non solo, si potrebbe aggiungere) avrebbe oggi soprattutto bisogno è, dunque, che si continui lungo la strada aperta dalla "nuova politica territoriale". Antonio G. Calafati
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