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Devo riconoscere che Costantini e Dal Bosco hanno fatto un ottimo lavoro con questo libro-intervista dedicato al maestro Dario. Al tempo della pubblicazione, Argento stava ultimando la lavorazione de La sindrome di Stendhal, che reputo il suo miglior film dal '96 fino ad oggi (2008), ragion per cui non si sente la mancanza di riferimenti a opere successive. Quello che emerge dall'intervista è un ritratto sincero di Dario Argento come uomo e regista, divertentissimi gli aneddoti sulle rocambolesche (dis)avventure incontrate durante la lavorazione dei suoi primi capolavori. Molto simpatici gli aneddoti sugli incontri con John Huston, Friedkin e Tobe Hooper. Complimenti agli autori per le domande poste, sempre intelligenti e stimolanti che hanno consentito al maestro di toccare i punti più interessanti della sua carriera.
Recensioni
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recensione di Quaglia, M., L'Indice 1997, n. 8
Basato su dieci interviste rilasciate dal regista tra l'aprile del 1995 e il gennaio del 1996, durante le fasi di preparazione e di edizione del film "La sindrome di Stendhal", e introdotto da un saggio in cui la giovane scrittrice giapponese Banana Yoshimoto spiega "come i film di Dario Argento mi hanno salvato la vita", il volume costituisce un pregevole strumento per approfondire la conoscenza di un cineasta intorno al quale i discorsi critici sono ancora oggi alquanto controversi. Se da un lato esiste infatti un nutrito stuolo di accaniti ammiratori, dall'altro si deve fare i conti con un gruppo altrettanto numeroso che fatica ad assegnargli lo statuto di autore, vedendo in lui l'esemplificazione del cinema commerciale e della sua correlata superficialità.Il rischio dell'incomprensione è d'altra parte da mettere in preventivo quando ci si dedica a generi come il thriller e l'horror, scarsamente frequentati ma tendenzialmente disprezzati e del tutto marginali dal punto di vista produttivo in ambito italiano. Si può quindi sostenere che l'opera di Argento sia in controtendenza rispetto a un panorama cinematografico nazionale caratterizzato dal prevalere dei "contenuti" sul cosiddetto "cinema cinema".
I curatori del libro, lungi dal tentare di elaborare con l'aiuto dell'autore un'analisi critica di ogni singolo film, riescono a tracciare un ritratto piuttosto sfac-cettato di questo cineasta eccentrico, allo stesso tempo trasgressivo e pragmatico. L'elemento che emerge con più nettezza dalla lunga chiacchierata con il regista è quello di una divorante passione per la settima arte, una vera e propria "malattia" manifestatasi fin dalla più tenera età. Non poteva forse essere diversamente per il giovane rampollo di una famiglia totalmente immersa nel mondo delle immagini: la madre aveva infatti uno studio fotografico, mentre il padre svolgeva l'attività di produttore. Ma il ragazzo dimostra fin da subito la propria autonomia rispetto ai gusti cinematografici dei genitori: al cinema italiano "impegnato" di quegli anni preferisce il cinema americano d'evasione. La sua predilezione va ai film horror, soprattutto dopo essere stato assiduo spettatore di una delle prime rassegne italiane di questo genere.Non bisogna però dimenticare che la sua cinefilia si nutre anche di Visconti e di Hitchcock, di Vertov e di Warhol, di Fellini e di Bergman.E, come se non bastasse, alla voracità cinematografica si unisce una smisurata passione per la letteratura: D'Annunzio, Hemingway, Salgari, Conrad, Wallace, Chandler, Hammett, Spillane e soprattutto Poe sono gli scrittori prediletti.
Prima di passare dietro la macchina da presa Dario Argento svolge la professione di critico cinematografico sulle colonne di "Paese sera". In quella veste ha l'occasione di incontrare Sergio Leone, che ha raggiunto la notorietà grazie a "Per un pugno di dollari"," Per qualche dollaro in più "e "Il buono, il brutto e il cattivo". Leone, che vede in lui un critico lontano dalla visione contenutistica del cinema propria della scuola marxista imperante in quel periodo, lo prende in simpatia e gli affida il compito di scrivere - insieme a un altro giovane di belle speranze, Bernardo Bertolucci - la sceneggiatura del suo nuovo film. Nasce così "C'era una volta il West".
Dopo aver firmato tra il 1968 e il 1969 altre nove sceneggiature, nel 1970 gira il suo primo film, "L'uccello dalle piume di cristallo". Argento, che fino ad allora non era mai salito su un set, propone al pubblico un cinema alquanto differente rispetto a quello intellettualizzato e spesso anche ideologico dell'epoca. Si tratta di un debutto piuttosto atipico per un autore impegnato nel movimento del '68 (diverrà simpatizzante di Potere operaio) ed estimatore della Nouvelle Vague. A ben vedere però, la sua opera d'esordio rompe con gli schemi dell'industria di quegli anni e porta con sé un'idea abbastanza forte di rinnovamento stilistico. Come Leone per il western, egli affronta un genere quale il thriller-horror da sempre estraneo alla cultura cinematografica italiana, e cerca di modificare radicalmente i codici rappresentativi imposti dalla tradizione americana.Inizia così a realizzare film in qualche modo astratti, caratterizzati da un'idea del colore e della luce molto forte e aggressiva, dalla moltiplicazione dei punti di vista, da ambientazioni inusuali - assembla pezzi di città diverse per creare spazi immaginari e reali allo stesso tempo - e dal tentativo di far identificare lo spettatore con l'assassino. Nuovo Cinema Inferno appunto.
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