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Il paese delle maree - Amitav Ghosh - copertina
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Il paese delle maree - Amitav Ghosh - copertina
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Descrizione


Piya è appena arrivata a Canning, l'ultima fermata per i Sundarban, l'immenso arcipelago che si stende fra il mare e le pianure del Bengala e che, secondo la leggenda, è sorto il giorno in cui la treccia del dio Shiva si è disfatta e i suoi capelli bagnati si sono sciolti in un immenso e intricato groviglio. Piya, giovane biologa marina nata in Bengala ma cresciuta negli Stati Uniti, è arrivata in questo dedalo di fiumi e foreste per scandagliare le profondità marine. Sui corsi d'acqua di mezzo mondo, Piya si è sempre sentita protetta dalla sua inequivocabile estraneità, dai suoi capelli neri corti, dalla sua pelle scura, dai suoi lineamenti delicati di giovane donna indiana. Qui, in un posto in cui si sente più straniera che altrove, sa che il suo aspetto la priva di ogni protezione. Per Kanai Dutt, invece, l'interprete diretto a Lusibari per decifrare un misterioso diario lasciatogli da uno zio, l'arcipelago è soltanto il paesaggio dove poter sfoggiare l'agilità e la prontezza del viaggiatore capace di cogliere istintivamente l'attimo. Soltanto per Fokir, il pescatore, i Sundarban sono il mondo. A bordo della sua barca, fatta di canne, foglie di bambù e fragili assi di legno, Fokir conosce ogni angolo di quest'universo, e sa che qui non esistono confini tra acqua dolce e salata, fiume e mare, terra e acqua, poiché quotidianamente le maree penetrano fin dentro le pianure del Bengala e foreste e isole intere scompaiono.
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Dettagli

2005
460 p., Brossura
9788854500303

Valutazioni e recensioni

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Recensioni: 5/5

Ho appena terminato questo libro, il quinto che mi leggo di ghosh, non posso far altro che leggerne un altro. Questo mi ha fatto addirittura piangere...ma cosa si può volere di più?

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Silvia
Recensioni: 4/5

Bel romanzo, di argomento particolare, fa conoscere luoghi e tradizioni a noi occidentali quasi sconosciuti.

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Oz
Recensioni: 2/5

Sinceramente, mi aspettavo di più. Della grande avventura promessa nelle recensioni, si è visto davvero poco. I protagonisti rimangono distanti dal lettore, anche dopo centinaia di pagine. La trama sembra sempre sul punto di imboccare la strada giusta, ma non decolla mai. Un romanzo che si legge velocemente, ma che altrettanto velocemente si dimentica. Bella l'ambientazione (il paese delle maree sembra davvero suggestivo!) e bello il momento del tifone, ma il resto...peccato!

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Voce della critica

Strani effetti letterari. Mentre gli occhi della mente seguivano i protagonisti di Il paese delle maree solcare le acque fluviali, una barca fantasma si materializzava alle loro spalle, intrusa da un altro tempo e da un altro romanzo, a bordo il cacciatore di serpenti Tremal-Naik e il suo fido aiutante Kammamuri. "L'imponente massa delle acque si divide e suddivide in una moltitudine di fiumicelli, di canali e di canaletti che frastagliano in tutte le guise possibili l'immensa estensione di terre strette fra l'Hugly, il vero Gange, e il golfo del Bengala. Di qui una infinità d'isole, d'isolotti, di banchi, i quali, verso il mare, ricevono il nome di Sunderbunds ". È la prima pagina di I misteri della Jungla nera , e descrive alla perfezione lo scenario di questo nuovo romanzo di Amitav Ghosh. La singolare coincidenza e l'irrituale accostamento ci possono aiutare a mettere a fuoco la differenza, basilare ma come vedremo tuttora trascurata, fra immaginario coloniale (che non implica necessariamente una politica colonialista) e sguardo cosmopolita (secondo la definizione di Ulrich Beck), capace di osservare e dare forma narrativa alle interdipendenze e mescolanze culturali planetarie della nostra epoca.
Salgari creava un melodrammatico effetto di (ir)realtà descrivendo manghieri, giaccheri e nagassi, lui cresciuto all'ombra di olmi e pioppi, e inscenando epici scontri tra nobili eroi nativi e spietati seguaci della dea Kali. Lo scrittore italiano - traggo queste utili note dall'introduzione di Ernesto Ferrero alla più recente edizione dei Misteri - trattava le popolazioni indiane "come altrettante specie botaniche", dotate di quella pasoliniana innocenza propria della vita biologica e non alienata dalla modernità. Grazie ai suoi libri, "il diverso" veniva "non soltanto scoperto, ma appetito, desiderato, metabolizzato" e l'Italia faceva "dignitose prove di multietnicità". A un secolo di distanza tocca ancora sollevare molti dubbi sullo stato di questo processo di metabolizzazione culturale, perché uno sguardo alla confezione dell'edizione italiana del romanzo di Ghosh (strappato per l'occasione a Einaudi da Neri Pozza, sempre più attento alla letteratura indiana contemporanea) indica come rimanga difficile liberare un autore indiano (o africano o arabo...) dalla camicia di forza di un esotismo di largo consumo. Sulla copertina leggiamo: "Nelle foreste di mangrovie sul delta del Gange, fra tigri, coccodrilli e tifoni, un grande romanzo d'avventura..." e sulla quarta: "Una spedizione alla Conrad, un conflitto alla Forster tra le verità dell'Occidente e la realtà indiana".
A noi sembra di aver letto un altro libro. Ghosh, che di Salgari condivide l'amore per la descrizione enciclopedica e minuziosa, si basa però su una conoscenza di prima mano che gli ha fatto mettere la sua formazione di antropologo al servizio di un grande talento di scrittore. I suoi più celebri romanzi - da Le linee d'ombra a Il palazzo degli specchi passando per Lo schiavo del manoscritto - sono tendenzialmente centrifughi, scavalcano i continenti, parlano di esili laceranti e migrazioni più o meno forzate, obbligano a sbalzi temporali spesso vertiginosi. Qui domina invece l'inesorabile forza centripeta di un singolo luogo, il Sundarban, verso il quale il lettore stesso si sentirà risucchiato, succube di quella marea che nel titolo originale ( The Hungry Tide ) è letteralmente affamata, persino famelica. Qui ci sono sì coccodrilli e tigri, ma il lettore zoofilo si aspetti però soprattutto delfini, e la presenza più interessante, sia concesso, è quella degli umani. C'è Kanai Dutt, interprete e traduttore (e metaforico alter ego dell'autore), che sta tornando sui luoghi della sua infanzia, dove era stato spedito a scopo didattico presso gli zii, intellettuali impegnati che avevano deciso di fondare una scuola in queste terre inospitali. C'è Piya, americana di origine bengalese che con la terra dei suoi antenati ha perso il legame più immediato, quello della lingua, e che giunge nei Sunderban??? come biologa marina esperta di cetacei sulle tracce del rarissimo delfino dell'Irrawady. C'è Fokir, taciturno pescatore autoctono e padre tenerissimo, il cui misterioso passato rivela poco a poco oscuri legami con le vicende familiari degli zii di Kanai e le vicissitudini politiche della regione.
L'incontro tra questi e molti altri personaggi minori permette a Ghosh di volgere su questo arcipelago bengalese uno sguardo cosmopolita che analizza pazientemente tutti gli strati visibili e invisibili di un microcosmo per rivelarne la fitta e insospettata rete di scambi e nessi che lo legano a una storia e a una geografia davvero globale. Anche in questo lembo di terra paludosa, infatti, si sono impresse le orme della partizione fra India e Pakistan (e successivamente Bangladesh), che ha diviso musulmani da induisti dopo una coesistenza plurisecolare; anche qui si sono riverberati gli effetti del colonialismo e dei grandi scontri ideologici del Novecento, tra comunismo e nazionalismo indiano.
Kanai è giunto a Lusibari per decifrare delle carte lasciate dallo zio defunto e conservate dall'anziana vedova, figura carismatica del luogo. Questi appunti fanno riemergere da un passato recente, ma già consegnato all'oblio, la vicenda del rapido consumarsi di un coraggioso esperimento comunitario di sapore utopistico, tentato sull'isola di Morichjhapi e finito in tragedia. Come di consueto, Ghosh si dimostra abilissimo nell'amalgamare piani temporali diversi, memoria individuale e memoria storica, microstoria e macrostoria. Soprattutto, lo scrittore sa infondere una straordinaria energia narrativa in linguaggi e codici diversissimi, dal discorso scientifico ed ecologista di Piya a quello poetico di Bon Bibi, la creatura leggendaria della tradizione islamica che viene invocata dagli abitanti induisti dell'arcipelago come divinità protettrice contro la minaccia incombente delle tigri. Ed è qui il luogo per menzionare l'impeccabile lavoro di traduzione compiuto da Anna Nadotti, consolidata traghettatrice delle opere di Ghosh nella nostra lingua.
Insomma, se questo è un romanzo di avventura, è l'avventura di intellettuali idealisti che lasciano Calcutta per sperimentare il loro credo socialista tra i villaggi delle paludi; l'avventura di pescatori che sbarcano a fatica il lunario e di profughi indù che si sono trovati dalla parte sbagliata del confine; di donne lavoratrici che lottano quotidianamente contro una natura ostile. Che senso ha, dunque, insistere, cristallizzandole, sulle "verità dell'Occidente" e la "realtà dell'India", scomodare Conrad ogni volta che si sale su un barchino e Forster per ogni viaggio nel subcontinente asiatico? E sarà vero che (vedi risvolto di copertina) Kanai Dutt "incarna la razionalità dell'Occidente" e che Fokir "attinge alla millenaria sapienza dell'Oriente", solo perché uno lavora con il computer e l'altro con la lenza? Non è piuttosto che Kanai incarna la ricchissima tradizione poliglotta, cosmopolita e razionalissima delle classi colte bengalesi?
Che sia difficile decolonizzare il nostro sguardo eurocentrico (come auspica un altro bengalese, Dipesh Chakrabarty, nel suo Provincializzare l'Europa ; cfr. "L'Indice", 2005, n. 4) lo dimostrano anche fenomeni di risonanza maggiore. Dallo tsunami a Katrina, questo è stato l'anno della devastazione liquida, quello in cui i profani hanno imparato la differenza tra cicloni, uragani e tifoni, l'anno in cui la furia distruttrice delle acque ha spesso azzerato ironicamente le ipotetiche differenze tra primi e terzi mondi. Eppure la riflessione culturale che ha accompagnato il day after di tanti disastri volge sempre a Occidente: dopo un tifone si rilegge Conrad, dopo una tempesta Shakespeare, Melville dopo l'onda anomala e quasi mai si presta attenzione all'immaginario e alla soggettività di chi vive queste catastrofi sulla propria pelle, e magari ha un dio diverso da pregare, maledire o ignorare.
Il paese delle maree si conclude con un tifone vissuto da chi abita un paese di tifoni e lasciamo al lettore l'emozione (e sarà profonda) di misurarne l'impatto sui vari personaggi. Amitav Ghosh ci ha regalato un altro libro intensissimo, ancora una volta diverso dai precedenti, capace di illuminare i nessi globali di un piccolo mondo alla periferia dell'India. A Salgari lasciamo il privilegio di parlare alla nostra parte infantile, libera di emozionarsi sentendosi interpellata dalle parole di Tremal-Naik: "Rimani con me, prode maharatto, e vedrai che noi due faremo per dieci. Seguimi!".

Shaul Bassi

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Amitav Ghosh

1956, Calcutta

Scrittore, giornalista e antropologo indiano. Ha studiato a Oxford e vive tra la sua città natale e New York. Considerato «uno dei più grandi scrittori indiani» (la Repubblica), è autore di numerosi libri di cui si citano: Il cerchio della ragione (Garzanti, 1986), Le linee d’ombra (Einaudi, 1990), I fantasmi della signora Gandhi (Einaudi, 1996). Per Neri Pozza ha pubblicato: Il paese delle maree (2005, 2015), Circostanze incendiarie (2006), Il palazzo degli specchi (2007), Il cromosoma Calcutta (2008), Mare di papaveri (2008, 2015), Il cromosoma Calcutta (2008), Lo schiavo del manoscritto (2009), Il fiume dell'oppio (2011), Diluvio di fuoco (2015), La grande cecità (2017), L'isola dei fucili (2019).

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