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Il primo volume del romanzo più ambizioso di Don Robertson, il labirintico ritratto di una cittadina del Midwest, del suo sviluppo e del suo declino morale, nei decenni che seguono la guerra civile americana.
«Subito dopo la guerra civile americana, in un piccolo villaggio nel cuore dell'Ohio dove regnano i valori dei padri fondatori, arriva un giovane forestiero senza principi capace di rivoluzionare ogni assetto. Un affresco incandescente» – Robinson, la Repubblica
«Se cercate un vero uomo, ricopritelo di catrame. Ficcategli delle piume nel naso. Cacciatelo dalla città. Trasformatelo in un animale. E poi aspettate di vedere cosa succede. Solo un uomo su mille può riscattarsi da un simile oltraggio. Laverà via il catrame e rimuoverà le penne, e poi... E poi vi converrà fare attenzione.» Paradise Falls è l'Arcadia, un piccolo villaggio nel cuore dell'Ohio, simbolo di un'America che poggia fermamente sui valori dei padri fondatori. A capo della comunità c'è Ike Underwood, l'uomo forte che ne ha forgiato carattere e istituzioni, fedele all'antica moralità e al rispetto delle tradizioni: un pilastro di cui nessuno ha mai osato mettere in discussione l'egemonia. Ma i tempi sono ruggenti e mutevoli, la guerra contro il Sud ha lasciato scorie, e l'apparente idillio è destinato a essere spazzato via dalla sfrenata ambizione di un giovane forestiero, Charley Wells.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Adoro imbarcarmi nelle tri/tetralogie, soprattutto se hanno delle splendide copertine e il bel formato del 'Nutrimenti Editore'. E poi sono una tipa da saghe; e questa è una saga. Però non è la 'mia' saga. Lungo, noioso, prolisso, dispersivo e insistito. Un'accozzaglia di personaggi di cui ho fatto una fatica boia a tenere il conto e il vissuto. Nella scrittura può anche esserci qualcosa di vagamente interessante e un paio di citazioni non male, ma è troppo poco per tenere in piedi tutto 'sto catafalco narrativo. Delusione totale. «L'unica vita sana deve essere centrata sulla consapevolezza del possibile e del mortale.»
In un trascinate mix di avvenimenti si ripercorrono ben 40 anni di storia, mossi dalla ricerca della vera "grandezza". I villaggi diverranno città, gli umiliati otterranno fama e potere, i reietti rifiuteranno un destino già scritto in cerca di un più glorioso indomani, i grandi uomini saranno schiacciati dal peso della modernità, i giovani destinati a ricoprire ruoli illustri non vedranno mai il proprio destino compiersi. Morti, nascite, passato, presente, progetti, delusioni, disillusioni, dolori, ferite, pazzia. Vite intere che come fili di un tessuto pregiato, si intrecciano, si tendono, si incrociano e talvolta si spezzano, dando vita ad un unico ordito. Signori e signore, benvenuti a Paradise Falls. ""Chiamalo Destino, chiamalo Natura, chiamalo Dio, chiamalo come preferisci chiamarlo. Dobbiamo avere delle cause per le cose che accadono. Non possiamo permetterci di credere che non ci sia un disegno." "Io ce l'ho un modo per chiamarlo." "E quale sarebbe?" "Merda. Lo chiamo merda."" SEGUIMI SU INSTAGRAM: SUSSURRI_TRA_LE_PAGINE
Non mi è facile essere obiettivo nei confronti di Robertson quindi per stemperare gli entusiasmi inizierei dalle critiche. L’editore poteva curare di più l’edizione (non è spesso così?), qualche refuso di troppo (appare perfino un 1960!), manca l’indice, e che altro? La traduzione. Bah, la traduzione è un'annosa questione di lana caprina: che qualcosina possa essere stato reso male è vero, ma con quale incidenza? Parliamo di schegge di ghiaccio nei confronti di un iceberg. L’opera è monumentale, R. è narratore intelligente, preciso, puntiglioso (provate a scrivere tenendo sotto controllo decine di personaggi…) e riesce, a dispetto della mole dello scritto, a non risultare prolisso (!), con lui il lettore sta sempre accanto ai personaggi, li sente respirare, puzzare, imprecare, soffrire, gioire, bere. Li tocca con mano. Raramente ho trovato una scrittura accompagnata al desiderio che non finisca mai, o almeno il più tardi possibile; non Bolano (eresia?), non Bulgakov (eresia), non Hemingway (eresia!). Robertson sì.
Recensioni
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