Nel programma del concerto commemorativo del ’95 c’erano brani famosi, come gli intermezzi del Fritz e di Guglielmo Ratcliff (bissato a furor di popolo già alla fine della prima parte), squarci sinfonici che ci ricordano come Mascagni fosse contemporaneo di Dvořák e ammirato da Mahler. La prima opera, nonostante la trama assai sciocca, abbonda di squarci melodici freschissimi. Registrandola a Londra nel ’68 con Luciano Pavarotti e Mirella Freni, Gavazzeni sottolineava: “lavoriamo con cura, come fosse l’opera più importante del mondo, cercando la giusta lega alle sconsideratezze di scrittura vocale e orchestrale. Non per tentare di rendere l’opera ciò che non è, ma perché riesca la più vera possibile. M’interesserà vedere come i critici discografici tanto minuziosi individueranno le modifiche che ho apportato allo strumentale: un brano strumentato ex novo, almeno venti misure. Dove? Ai critici trovare il punto e le differenze”. Si tratta del corale del rabbino (“Faceasi vecchio Abramo”), originariamente scritto per i soli ottoni pianissimo, trasferito al quintetto d’archi, per evitare la dinamica impossibile e le stonature della sezione. Il Ratcliff, lavoro singolare, “sutura fra opera romantica europea e verismo italiano”, rimase invece nel cassetto. Gavazzeni l’ascoltò per radio - spartito alla mano - nel ’54, e cercò di eseguirlo quarant’anni dopo alla Scala col tenore giusto, Placido Domingo, il quale però, nonostante il riconoscimento del valore, dovette rinunciare, causa la “sciagurata” tessitura impiccata della parte.La neo-rossiniana sinfonia delle Maschere riporta al ’54, quando Gavazzeni insieme al Direttore artistico del Maggio, Francesco Siciliani e al futuro segretario generale del Comunale, Renato Mariani, decisero di inaugurare la stagione invernale con la dimenticatissima opera, un’operazione “giustificabile soltanto decidendosi senza scrupoli a un lavoro di tagli”. Mascagni non ne voleva nemmeno uno, condannando l’opera all’oblio. E Gavazzeni si assunse la responsabilità dell’interprete di tagliare, per presentare l’opera a un nuovo pubblico. “A chi invoca ragioni storico-etiche, va risposto che, per la realtà operistica, sono proprio le stesse nozioni della storia e dell’estetica ad attuarsi in concreto attraverso la spregiudicatezza. Perché non si tratta di edizione stampata, ma eseguita, ed eseguita nell’empirico genere teatrale”. I tagli sono parte viva dell’interpretazione e si modificano nel tempo, e magari quando l’opera rientra nel repertorio, scompaiono.Per la regia delle Maschere venne chiamato Anton Giulio Bragaglia, il mago Futurista che al Teatro degli Indipendenti aveva portato per primo, fra l’altro, Brecht. Bragaglia dottissimo erudito della Commedia dell’Arte ma avulso alla regia d’opera (“trascurato nell’accudire la regia senza farla”), la quale fu realizzata dal fiorentinissimo e capace Carlo Maestrini. Personaggio pittoresco: vestiva come morisse dal freddo – sciarpe, panciotti, calzoni cascanti, berretti, e un “cappello a navicella rigida, imbustata che metteva in capo nelle sere di recita”.
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