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Un aut-aut tra corpo e spirito, voce e silenzio, terra e cielo, quello suggerito dal titolo di questa raccolta di Gianmarco Busetto, performer-regista-drammaturgo veneto: nelle quarantadue liriche presentate "il timbro della parola poetica è assonante con il timbro della parola teatrale", secondo l'intepretazione della prefatrice Anna Toscano. E in effetti si tratta di versi asseverativi, declamati spesso con spavalda e polemica sicurezza, già dall'esergo: " io sono dove poggio i piedi/ in questo preciso istante/ perché l'altrove, giusto o sbagliato/ è sempre e comunque una menzogna". Hic et nunc, quindi, l'adesso e l'azione, il movimento e il luogo preciso: " non importa cosa accade purché accada", in un rincorrersi affannato di parole ansiose che sembrano temere le pause e i punti fermi, quasi ad esorcizzare un non ascolto, una distrazione di chi legge, obbligandolo invece a spalancare occhi ed orecchie sullo spettacolo di un'esistenza mai diluita, mai esitante: "nessun fiore verrà deposto sulla lapide dell'arreso". Quindi la Storia che si confonde con le storie (Waterloo, Hiroshima, Gaza-New York-Baghdad, Carlo Magno e Lincoln), ma anche l'immagine privata di una lei che " soffia sulle dita per fare asciugare lo smalto". Scrittori e filosofi amati (Hemingway, Céline, Schopenhauer, Salinas, Crane, Virginia Wolf), le musiche di Paganini e Schumann, in un susseguirsi di visioni incalzanti e ossessive: "film da vivere e vite da girare/ e poi emicranie, coliche e battaglie", "incidenti stradali e sale da ballo stracolme/ il deragliare del treno, il piede pestato/ i giovedì di Plaza de Mayo", con la tentazione sempre insorgente dell'asserzione gnomica ("le domande abitano meno case delle preghiere", "la verità/ è sempre un abisso deludente") e talvolta di qualche banalità gratuitamente provocatoria, che inficia altri versi più decisamente originali: "io che vermo, lombrico, scasso, drappo e rido".
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