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Questo è un libro che alla prima lettura fa tenerezza, perché sembra umile e d’altri tempi. E al secondo sguardo può svelarsi per un libro crudele. Racconta infatti, seguendo giorno per giorno il calendario scolastico, le malinconie e le minuscole vicende di un insegnante che sta per andare in pensione. Il fittizio protagonista Alessio Cerri, professore di italiano e storia, al trentanovesimo anno di servizio, in un istituto di una piccola città dell’Italia centrale, racconta riunioni, interrogazioni, autogestioni, e anche la prima sigaretta mattutina, il caffè con i colleghi, il vestito nuovo sfoggiato in Collegio. Sullo sfondo appare l’Italia di provincia e di radici contadine. Cerri è un professore all’antica. Non gli piacciono i gerghi pedagogici né le attività ludico-culturali che gli svuotano le classi. Gli piace invece parlare, spiegare, moraleggiare. E soprattutto ama l’ambiente di lavoro che è "come un grembo materno". Ci accoglie ogni mattina e "discute con noi, allevia i nostri dispiaceri e nei momenti difficili ci dà aiuto e coraggio". Questo libro, che sembra un nuovo e finto "Cuore", ha il pregio d’essere in controtendenza. Con nuda semplicità restituisce all’insegnante la figura patetica, ma viva e plausibile, di chi nel contatto con gli allievi nobilita la quieta mediocrità dell’esistenza adulta. Alla scuola restituisce la sua funzione sociale. La scuola è, come s’usa dire, un laboratorio. O è un nido? S’immagina che il libro sia autobiografico. Ma dell’autore, Alessandro Petruccelli, la copertina non dà notizie: tranne che è un insegnante e scrittore. Bisogna riconoscergli l’ardimento di avere toccato elementari e spesso rimosse verità psicologiche. (L.D.F.)
scheda di De Federicis, L. L'Indice del 1999, n. 11
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