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Nell'ambito della "Cattedra del confronto" tenutasi a Trento nel 2014, si è avuto questo interessante dibattito a due voci sul tema del perdono e del suo sentimento alternativo, opposto: il rancore. Ad animare il dialogo sono stati chiamati la scrittrice Antonia Arslan e Frère John della Comunità di Taizé. La prima, che da anni coraggiosamente denuncia al mondo il genocidio degli armeni perpetrato dai turchi tra il 1915 e il 1922, ha stigmatizzato con vigore il colpevole e complice negazionismo internazionale riguardo a questo primo, grande massacro del XX secolo, chiedendosi se è giusto, naturale, accettabile perdonare anche le colpe storiche, quali sono avvenute -oltre che in Armenia - nella Germania nazista e nel Ruanda attuale. Si può, si deve perdonare anche in assenza di qualsiasi richiesta di perdono, oppure è legittimo mantenere una soglia di ovvio risentimento, richiedere un risarcimento morale e legale a chi ha distrutto l'esistenza altrui? "Il giusto è colui che non si volta dall'altra parte", colui che riconosce nel peccato dell'altro anche la sua colpa, colui che attraverso una "fatica diuturna" tenta di superare in sé stesso l'odio e il desiderio di vendetta. Ogni ferita rimane sempre aperta, ma bisogna cercare di tamponare la sofferenza, riconoscendo anche in sé stessi la possibilità di fare il male. Frère John offre del perdono una lettura più teologicamente storicizzata, riconoscendo che esso non era contemplato nelle culture antiche, e che solo con il Dio cristiano è apparsa nel mondo la possibilità concreta di aprirsi gratuitamente alla clemenza, alla benevolenza, alla comprensione verso chi ci ha fatto del male. Un concetto liberatorio di legalità può aiutare a superare il rancore: la persona offesa va risarcita, e questo deve aprire la strada al recupero di un'armonia infranta. Dopodiché il credente "si affida alla presenza trasformatrice di Dio", a una dimensione superiore di giustizia, che non solo punisce, ma accoglie e perdona.
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