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vi suggerirei "Ettaro", di freschissima uscita, con le fotografie di Pietro Bologna, ed. Artphilein. Un capolavoro
" [(è questo che fa vibrare l'insieme/ che si agita come tortura di gioia/ che piace così tanto alla gente/ come al suo culmine - il linguaggio tremante?)] La poesia di Lumelli sembra praticare la parola come una specie di "turbativa d'asta", non potendo aderire interamente alle cose, le scombina. Fa quindi affiorare in chi la legge un' interrogazione segreta, un bisogno sepolto che si rivela improvviso e urgente, quasi un richiamo dimenticato. È un’intimità, una pronuncia istantanea, ma le parole non si organizzano in un ordine compiuto. Il discorso non si fa prendere. È una lingua che scappa. Lascia scie che chiamano. Si desidera inseguirle, sapendo che nulla resterà tra le mani. Come il palloncino in volo di cui non si arriva ad afferrare il cordino. Rimane una spasimante inquietudine, come di un bene toccato e subito svanito o il bruciare di un marchio, il cui stampo viene gettato lontano, irrecuperabile. Ci si affanna a cercarlo, ma non lo si trova e ci si affeziona con nostalgia al segno che ha lasciato. La lingua poetica di Lumelli è un evento in cui egli imprime il suo più profondo DNA ed è un mistero che lui possa condividere con altri questo dialogo fitto con se stesso, in cui invece di conoscersi diventa mirabilmente ignoto, appunto turbando tutti i giochi. Le parole oscuramente cercano ciò che non ancora è stato nominato o lo è stato imperfettamente; non è sicuro vogliano raggiungerlo, forse non possono. Si aprono molte strade e direzioni e forse non siamo pronti a percorrerle. Ma questo non importa: che si abitino le parole per annullare il linguaggio e dire che non possiamo dire, ma forse solo far cenni e accostarsi a ciò che è altro, è straordinario. [( figurata idea - solida figura)/ ( vedovo sapere/rettilineo del mio lontano)/ (trotterella il niente - accanto alla cosa/ la notte sta nelle sue braccia/ in posizione di sposa)]
Tutto scorre, nei versi di Lumelli. Persino l’essere, da sempre ancorato ed eterno, qui viaggia e “saluta da dietro al finestrino” oppure “brilla mentre passa di mano.” Anche il “senso compiuto fa presto a finire” e “si accumula sui confini come chi vuole migrare.” E’ tutta colpa del tempo, anzi, dello spazio-tempo coinvolto in un confronto serrato con il poeta che cerca scappatoie per affrancarsi dalla sua tirannide, in un tentativo tanto improbabile quanto eroico. Splendidi versi descrivono la sua insofferenza verso un continuum che gli va stretto, perché a lui piacciono i salti e le discontinuità, preferibilmente in aperta contestazione con la cronologia e la topologia (“ vorrei essere là guardando da qua.”) Eppure, in un universo di “ondine gentili sempre già lontane”, qualcosa come un ciotolo dolcemente levigato, frena. Il poeta, grande conciliatore di contrari, è rimasto “fermo sul posto” aspettando “le stelline di ogni sera.” Il posto non può essere che quello dell’ “inizio”, un inizio “mai finito” che immancabilmente fa capolino in tutte le stagioni del suo lavoro. E’ uno dei capisaldi della sua ricerca ma anche (come dice bene Gazzola nella prefazione) un sottofondo rituale in movimento…che nel corso del tempo tiene insieme e tiene legati.” Soprattutto i lettori.
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