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Dettagli

1992
19 ottobre 1992
664 p.
9788815036933

Voce della critica


recensione di Bonanate, L., L'Indice 1993, n. 3

All'incirca nel decennale della sua scomparsa (avvenuta il 17 ottobre 1983), le edizioni del Mulino accolgono in una delle loro collane più prestigiose ("Collezione di testi e di studi - sezione di scienza politica") una selezione di scritti di Raymond Aron, che potrebbe esser definita ampia se la parola non risultasse stonata di fronte all'immensa produzione di questo scrittore evidentemente dotato di una straordinaria facilità di scrittura. Così neppure le cinquecento e più pagine (le prime cento del libro essendo occupate dall'introduzione di Angelo Panebianco) della raccolta di scritti (il più vecchio dei quali è del 1937 e il più recente del 1980) riescono a offrire un'immagine complessiva e compiuta di un autore dalle molteplici specializzazioni.
Corrispondendo a questa poliedricità, sempre agevolata da uno stile brillante e armonioso (anche se qualche volta superficiale, come constata Panebianco, pp. 62-63), Aron rimase sempre imprendibile anche nella sua collocazione professionale: un filosofo, un politologo, un sociologo, uno storico, uno specialista di relazioni internazionali, ovvero soltanto e meramente un brillante giornalista (e "il consigliere del principe" De Gaulle) o un analista della congiuntura economica? Ma forse neppure Aron ne aveva un'idea ben chiara: nella nota premessa alle "Etudes politiques" quel osservava che un suo saggio ("Scienza e coscienza della società", compreso anche nella selezione del Mulino) "esprime il progetto fondamentale del mio pensiero": difficile credergli, se si verifica che poi quel saggio non fa che rappresentare una parte dei suoi interessi, legata all'analisi della società.
Ma non aveva egli stesso fatto ricorso - per definire la guerra nella concezione clausewitziana - all'immagine del camaleonte ("altra da congiuntura a congiuntura, complessa in ciascuna congiuntura" ("Penser la guerre", Clausewitz, Gallimard, Paris 1976, vol. II, p. 185), che dunque gli si attaglierebbe altrettanto bene? E dire che - caso ormai non più frequente come un tempo tra i grandi intellettuali - Aron ci ha lasciato un imponente volume di memorie (a sua volta tradotto in italiano da Mondadori, 1984), a leggere il quale tuttavia l'immagine di una personalità cangiante e mutevole (sfuggente?) risulta ancora più nitida, nell'inafferrabilità del personaggio che ne esce, così freddo, disilluso (non usò questa parola anche nel titolo di un libro? - "Le désillusions du progrès", tradotto da Armando, 1991), avalutativo, impassibile, ma anche monumentale.
Nella sua introduzione (quasi un libro nel libro: cento pagine) Panebianco (al suo primo incontro con Aron, se non sbaglio) si sforza di ricondurre se non a unità a un qualche ordine Aron, con un titolo trinitario (altra parola cara all'Aron interprete di Clausewitz), che evoca la politica, la guerra, la storia; ma quadripartendo poi la raccolta in sezioni dedicate nell'ordine, a "La teoria sociale e politica", "La sociologia del potere, "Gli stati e la guerra", "Le scienze sociali, la politica, la storia" e contribuendo quindi a mantenere quell'atmosfera di imprendibilità che lo contraddistingue. Nella sua introduzione (non troppo lunga per essere tale, e troppo breve per diventare un'interpretazione?) Panebianco si sofferma, in una chiave che sta tra il cronologico e il tematico, su quelle che gli appaiono le tappe fondamentali del percorso aroniano: dagli studi di filosofia della storia (probabilmente i più originali se non i più profondi dell'intera produzione di Aron), alla lezione dei classici (da Machiavelli a Montesquieu, da Tocqueville a Marx, da Weber a Pareto senza dimenticare contemporanei amati e poi combattuti come Sartre e Merleau-Ponty). Un capitolo a parte merita la ricostruzione del rapporto di Aron con Marx e il marxismo, più in generate, una specie di costante spina nel fianco del grande scrittore francese, che mai, da quando diventò gaullista perse l'occasione per polemizzare, anche aspramente, con la vulgata e la cultura marxiste, mostrando invece sempre grande rispetto per il capostipite, al quale egli riconosceva effettive capacità di analisi della società, pur respingendone l'intenzione di trasformare uno strumento di analisi in chiave di interpretazione del divenire storico (cfr. Panebianco, p. 45). Aron, infine, non fu mai uomo di ricerca sul campo (cosicché la sua sociologia, come è testimoniato anche dai saggi compresi in questa raccolta, appartiene sempre al genere della macrosociologia o della riflessione metodologica), ma di scrivania, anche se non per questo si trattò di un uomo lontano dal mondo: il "mestiere" che forse fece con più intensità e passione fu quello del giornalista, prevalentemente su "Le Figaro". Segnalo, a questo proposito, che, a partire dal 1990, le Editions de Fallois si sono imbarcate nell'impresa - vera e propria: 1388 pagine! - di pubblicare, ordinati cronologicamente, tutti gli articoli del "Figaro": è uscito finora il primo volume contenente gli articoli del periodo 1947-55, intitolato "La guerre froide".
Vengono poi le due sezioni che si riferiscono a quello che si potrebbe definire l'Aron "maior", cioè al teorico delle relazioni internazionali e all'interprete di Clausewitz. Per quanto riguarda la prima problematica, come ho già avuto occasione di dire altre volte, Aron rimane certamente uno dei massimi studiosi del settore: "Pace e guerra tra le nazioni" (1962), per quanto eccessivo (come sovente succedeva a questo scrittore dalla penna fin troppo felice e agevole) e troppo succube dell'attualità del tempo (la dissuasione reciproca), continua a essere la sola opera di teoria delle relazioni internazionali che consiglierei a chiunque di leggere (anche se praticamente in nulla concordo con Aron!). Panebianco insiste (cose che mi ha un po' stupito) sulla eccentricità della posizione aroniana rispetto alla tradizione del pensiero realistico.
Infatti, è ben vero che Aron è lontano le mille miglia dal realismo internazionalistico statunitense, sensibile com'è, a differenza di quest'ultimo, alle e istanze morali e ai principi (fa bene Panebianco a rinviarci agli ultimi capitoli di "Pace e guerra tra le nazioni"); ma il fatto è che i principi a cui Aron si rifaceva erano proprio e davvero quelli realistici, ben più correttamente e precisamente rivissuti di quanto non sapessero fare i suoi antagonisti americani (con lui sempre molto polemici): basterebbe rileggersi le pagine che Aron dedica a Tucidide (in "Pace e guerra tra le nazioni", 1, 5) per apprezzare l'ortodossia realistica. Come potrebbe, del resto, un vero liberale (quale Aron certo era) non portare nel suo bagaglio ideologico la chiave di analisi del realismo? Ma passiamo all'Aron lettore di Clausewitz: quanti altri si riterrebbero paghi per aver scritto in tutta la loro vita un solo libro alla stessa altezza di quello (in due volumi) che Aron dedicò al generale prussiano... Anche Panebianco ne è affascinato e si sofferma su questa tematica con il rispetto che deriva dall'ammirazione; peccato che nella raccolta tuttavia non figuri uno solo degli scritti su Clausewitz: la ragione sta nel fatto che il Mulino aveva già pubblicato poco più di un anno fa, una raccolta di scritti aroniani, "Clausewitz", che riprendeva un volumetto del 1987 che raccoglieva tuttavia nulla più che gli "avanzi" - non completi, essendo stato stralciato un intervento sulla recezione di Clausewitz nelle scuole di guerra francesi - dell'immenso lavoro su Clausewitz, che offre la più completa (sia filologicamente sia problematicamente) interpretazione dell'opera del filosofo della guerra prussiana che sia finora comparsa.
L'ultima parte dell'introduzione tocca un'altra tematica importantissima ("realismo liberale e metodo sociologico"): in essa Panebianco si sforza di mostrare che "l'opera di Aron è a tutti gli effetti l'opera di un classico delle scienze sociali e come tale deve essere considerata" (p. 98). Ed è vero che è proprio la società, nel suo complesso, ciò che più attraeva Aron, anche se la definizione accademica di sociologo - l'unica materia che egli abbia insegnato! - non gli corrispondeva del tutto: come sociologo era troppo filosofo, come in quanto filosofo era troppo storico e come storico troppo politologo. E così, dovessi a mia volta suggerire un elemento unificatore in Aron lo individuerei nella ricerca continua e incessante della natura del conflitto, e all'interno di questo della guerra, a sua volta sottoposta a un'insistente e mai soddisfatta individuazione delle sue "cause". Un piccolo esperimento in questo senso potrebbe aiutarci: in un'opera pubblicata postuma nel 1989, "Leèons sur l'histoire" (Editions de Fallois, Paris, annunciata in traduzione ancora dal Mulino), che raccoglie due corsi universitari, Aron dedica moltissimi passaggi alla questione delle cause in storia (problema che aveva già affrontato, come Panebianco mette in rilievo, da giovane); ebbene, si controllino gli esempi che Aron fa: quasi tutti (e sono decine) sono tratti da guerre, come a testimoniare che guerra, causalità, storia e politica internazionale offrono la miscela più intensa tra tutte quelle che la sua immensa opera offre.
L'analisi più ravvicinata delle quattro sezioni in cui la raccolta si divide mette in evidenza un altro degli aspetti più stupefacenti di questo grande scrittore: sia quando si occupa di teoria sociologica, sia di teoria politica, di quella delle relazioni internazionali o della metodologia della ricerca sociale, egli porta in ciascuna specialità il peso delle conoscenze acquisite negli altri campi. Ecco perché Aron ha sempre potuto affrontare tematiche di immensa portata e di grande complessità: sapeva discutere del prediletto Montesquieu come di Polanyi (si noti che il saggio su quest'ultimo è del 1961, quando in Italia era pressoché sconosciuto), di teoria delle classi sociali così come della struttura della società industriale; della classificazione dei regimi politici come deva possibilità di una teoria della politica estera del totalitarismo e della teoria politica, del concetto di potere politico e di teoria strategica - tutti argomenti rappresentati nei saggi raccolti in questo volume, nei quali Aron, fedele al suo liberalismo, quasi sempre tollerante e qua e là sferzante, offre sia una panoramica esauriente del dibattito sia la sua personale visione. Una citazione a parte merita infine il saggio sulla condizione storica del sociologo, lezione inaugurale al Collège de France del 1| dicembre 1970, nella quale Aron offre la chiave per la ricostruzione autobiografica e problematica della sua opera come studioso della società.
Un'ultima considerazione sulla natura del volume del Mulino: esso non corrisponde ad alcuna specifica opera di Aron ed è come se ne volesse presentare una nuova (l'ennesima apparizione del camaleonte!); ma in realtà essa prende i due terzi delle "Etudes politiques", da cui espunge alcuni saggi sulla società e la vita politica francesi, sul liberalismo (sia teorico sia militante), sul pensiero strategico. Peccato che non siano sopravvissuti due scritti meritevoli di maggior fortuna, uno su Alain, grande "maŒtre à penser" della cultura francese, e uno (per quanto ne so mai ripreso da nessuno) sull'obiezione di coscienza, nel quale ancora una volta Aron esibiva la sua straordinaria padronanza dei classici del pensiero così come della manipolazione - quasi degna di un prestigiatore - dei concetti.
Va ancora ricordato che Panebianco aggiunge alla sua introduzione le prove della sua approfondita lettura, passata anche attraverso la letteratura su Aron, che egli discute ampiamente: non resta che da osservare che la bibliografia non è ancora all'altezza dell'autore, e che forse questa antologia potrà rappresentare la prima occasione per un ripensamento sistematico dell'opera straordinariamente ricca di uno scrittore eccezionalmente eclettico: un vero e proprio camaleonte.

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Raymond Aron

1905, Parigi

Raymond Aron è stato un filosofo e sociologo francese. Considerato uno dei più importanti pensatori politici del Novecento europeo, si è laureato all’École normale supérieure. Durante la seconda guerra mondiale diresse a Londra la rivista della resistenza francese, «La France libre». Dopo aver insegnato alla Sorbona e all’École des hautes études, nel 1970 fu eletto alla cattedra di Sociologia della civiltà moderna del Collège de France. All’insegnamento universitario affiancò sempre l’attività di commentatore dell’attualità storica, in particolare per «Le Figaro».Tra le sue opere tradotte in italiano: L’oppio degli intellettuali (Ideazione , 1998),...

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