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Anno edizione: 2007
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Nel 1940 un oscuro ladruncolo omosessuale appassionato di letteratura conosce un giovane militante trotzkista di una ventina d’anni, Jean Decarnin. Il 19 agosto 1944 Decarnin, da tempo legato alla Resistenza, viene ucciso. Non si sa se i due siano stati amanti, ma quello che è certo è che il ladro, Jean Genet, parte da questa morte, e dallo strazio che gli ha causato, per il suo nuovo romanzo, il primo composto fuori dal carcere, Pompe funebri. "Quando tornai dall’obitorio era notte. Risalendo rue de la Chaussée-d’Antin, mentre nuotavo su onde di tristezza e di lutto, pensando alla morte, nell’alzare la testa vidi ergersi in fondo alla via un angelo di pietra immenso e cupo come la notte. Tre secondi dopo capivo che era la mole della chiesa della Trinité", scrive Genet in una delle prime pagine del romanzo, segnando in questo modo, fin dall’inizio, lo stretto rapporto che lega la sua scrittura, la sua sofferenza, alla sovrumana maestosità del male. Poche righe dopo Genet paragona quella stessa chiesa, resa informe dal buio della notte, all’aquila del Reich, e rivela la sua fascinazione per Hitler e i nazisti: "Non spetta ancora a me determinare se il Führer dei tedeschi debba in generale personificare la morte, ma parlerò di lui, ispirato dal mio amore per Jean, e dei suoi soldati, e forse scoprirò il ruolo segreto che recitano nel mio cuore". Un romanzo d’attualità, dunque, scritto alla fine della guerra, tra il settembre 1944 e l’agosto 1945, e incentrato su eventi recentissimi, che tutti conoscevano e celebravano proprio in quegli stessi mesi. Eppure Genet resta lontanissimo dalla retorica patriottica, sceglie di cantare il suo dolore per la morte del giovane celebrando non i partigiani o la grandeur francese, ma la morte stessa e coloro che la affrontano con giocosa spavalderia. Canta dunque la gloria oscura e sanguinosa degli ultimi soldati tedeschi rimasti a Parigi, canta (il termine non sembri eccessivo, dal momento che Genet stesso in questo testo si dichiara poeta e non romanziere) la bellezza ambigua dei ragazzini della Milizia che, per quattro soldi e un’arma, combattevano una guerra ormai persa a fianco dei soldati di Hitler. I traditori adolescenti, che inseguono i gatti per sfamarsi e corrono sui tetti in attesa della morte, sono per Genet – appassionato difensore di tutti gli ultimi della terra – gli unici esseri abbastanza puri e lontani dalla compiaciuta vittoria della Francia borghese per poter essere mischiati, nel gioco della memoria, con l’immagine del giovane comunista: "Ero felice di vedere la Francia terrorizzata da bambini in armi, ma lo ero molto di più quando quei bambini erano ladri, delinquentelli. Se fossi stato più giovane mi sarei fatto miliziano. Accarezzavo spesso i più belli, e segretamente li riconoscevo come miei inviati, delegati tra i borghesi per mettere in atto i crimini che la prudenza mi impediva di commettere". I vari elementi che compongono Pompe funebri si fondono in un insieme complesso che alterna, con bruschi cambi di soggetto e di registro, le vicende dei vari personaggi, in cui è sempre l’elemento erotico a predominare, caricandosi, attraverso una scrittura concisa e al tempo stesso immaginifica, di simboli e significati. Anche Hitler, in queste pagine, assume una forte valenza sessuale, è "una vecchia zia, una checca" impotente che manda a morire "i suoi uomini più belli per possederli tutti". Oltre all’indiscusso valore letterario del romanzo, suscita in questo caso interesse la scelta dell’editore di tradurre il testo dell’edizione del 1948, fino a ora mai pubblicato integralmente in Italia, mettendo tra parentesi quadre i brani che Genet stesso tagliò nel 1953. Stupisce però che Alberto Capatti, nella bella e documentata introduzione, dica semplicemente che l’edizione del 1953 era stata "ripulita dei molti passi osceni". Osservando infatti i passi espunti dall’autore, possiamo notare che Genet non si limitò a un’operazione di autocensura, ma realizzò piuttosto un lavoro, più sottile, di cesellatura stilistica. Il risultato è un’opera di grande impatto e ricca di passi emozionanti, non soltanto per i contenuti che ancora oggi possono risultare, come del resto voleva l’autore, politicamente scorretti, ma per la tensione stilistica che li pervade e che Genet stesso riassume: "Tutte queste pagine saranno livide perché nelle loro vene non scorre il sangue ma il chiaro di luna".
recensioni di Bongiovanni, C. L'Indice del 1999, n. 04
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