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Anno edizione: 2014
Anno edizione: 2014
Il posto è un romanzo autobiografico che ha il potere di parlare a tutti noi di tutti noi.
«È raro che l’arte raggiunga una perfezione così semplice.» - The New York Times
«È un romanzo in cui Annie Ernaux, partendo dalla lingua del padre, da un lessico familiare, riesce a raccontare in che modo la sua emancipazione, che i suoi genitori hanno caldeggiato, l’ha portata a conoscere un’altra lingua, quella che le ha consentito di diventare un’insegnante di francese e poi una scrittrice.» - Rosella Postorino
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La biografia del padre, prototipo dell’uomo qualunque, di cui nessuno racconta mai. In tono amaro, con stile telegrafico, l’autrice parla del divario generazionale, in termini di cultura e status sociale. Da questi due fattori derivano il lessico e la forma mentis, che ci allontanano dalle radici contribuendo a cementare l’incomunicabilità. L’imbarazzo di esser campagnoli e il senso di inadeguatezza che si provava di fronte alle persone erudite, è ormai scomparso, lasciando il posto all’orgoglio, all’esaltazione dell’individualità, a volte sacrosanta a volte ostentata e controproducente. Nell’avvicendarsi di generazioni, ciò che costituiva un valore si ribalta, al timore reverenziale del parere altrui, si è alternata una fase di trasgressione fine a se stessa, presto ci verrà a noia e torneremo a preoccuparci di non scandalizzare i vicini. Valori e mode rinnegati che riemergono, come la facciata normanna, con le travi a vista che il padre si sforzava di imbiancare e che nel frattempo era tornata in voga. “(… )il romanzo è impossibile. Per riferire di una vita sottomessa alla necessità non ho il diritto di prendere il partito dell’arte (…) Metterò assieme le parole, i gesti, i gusti di mio padre, i fatti di rilievo della sua vita, tutti i segni possibili di un’esistenza che ho condiviso anch’io. (…) La scrittura piatta mi viene naturale, la stessa che utilizzavo un tempo scrivendo ai miei per dare le notizie essenziali”
La morte di un genitore: il dolore per la perdita di un essere che sembrava immortale, ed i ricordi dolceamari della propria infanzia legati ad esso. Annie Ernaux ripercorre e sviscera senza pietismo la storia della sua famiglia. Un libro molto bello, tenero e crudele insieme, ma sempre autentico ed onesto.
Le lodi di un’amica francofona per questa autrice (oltre che il Nobel, ovviamente) mi avevano molto incoraggiato, per cui l’ho letto con piacere – sono poco più di cento pagine “scritte larghe” che scorrono senza difficoltà – eppure mi sono trovato alla fine senza entusiasmo. Una biografia a ritroso, una scrittura affilata e asciutta per affrontare un tema così comune, come quello dei complicati rapporti culturali coi genitori – e col padre in particolare – nel passaggio che ha attraversato un secolo intero per la sua (e la mia) generazione dalla società patriarcale contadina a quella acculturata e benestante. Uno stile scarno e raffinatamente intellettuale nella sua voluta semplicità, che proprio per questo vorrebbe essere universale, con il pudore che avrebbe ognuno di noi nel mettere a nudo la brutalità esistenziale dei nonni braccianti, così come la mancanza nei propri genitori di quelle “buone maniere” che la borghesia ha eletto a regola di vita. E poi una nota a margine: possibile che nel racconto biografico di una francese intellettuale allora meno che trentenne non ci sia traccia dello sconquasso portato dal “maggio 68” ai valori borghesi della famiglia? In conclusione di questo mio primo incontro con la Ernaux ho trovato più ricerca di giustificazione (quasi un suo senso di colpa) che capacità di trasmettere emozioni. E quanto al Nobel, non sarebbe la prima volta che un autore viene sovrastimato!
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