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Le relazioni tra Italia e Israele sono ancora poco studiate. Opportunamente, dunque, questo importante lavoro di Riccardi si aggiunge ora al precedente libro di Ilaria Tremolada sul periodo 1948-1956 dal titolo All'ombra degli arabi (M&B Publishing, 2003). E se ne ricava che la posizione italiana nei confronti dello stato ebraico era già nel passato assai delicata. Esistevano fattori vincolanti quali la vecchia propensione italiana verso il Mediterraneo, gli interessi nei paesi arabi, l'influenza della Santa sede e i problemi derivanti dai vincoli posti dal trattato di pace con le potenze vincitrici. L'iniziale diffidenza verso il sionismo, visto come possibile elemento di penetrazione sovietica in Medioriente, lasciò il posto a considerazioni meno preoccupate. Il ministro degli Esteri Sforza riteneva però che andasse sottolineato con gli arabi che l'Italia non aveva votato il piano di spartizione del 1947, che aveva aperto il varco decisivo per la nascita dello stato di Israele nel maggio del 1948. Roma non faceva parte delle Nazioni Unite e tentò così di trasformare una debolezza in un punto di forza. Si sarebbe riconosciuto lo Stato di Israele solo dopo che lo avessero fatto altre grandi potenze.
La posizione della diplomazia italiana in quel periodo fu dunque all'insegna della prudenza. Israele rappresentava però una soluzione al problema dei profughi che transitavano in Italia e un possibile partner commerciale. L'Italia consentì allora a molti ebrei stranieri di imbarcarsi sul suo territorio verso Israele, causando l'irritazione inglese e araba. Era però importante non infastidire oltre misura i governi arabi per non avere ritorsioni in merito agli interessi italiani nelle ex colonie. Più favorevole allo stato ebraico risultava la posizione del Pci, anche se la coincidenza cronologica tra il favore del partito verso l'indipendenza di Israele dall'imperialismo britannico e la decisione di Mosca di riconoscere lo stato ebraico sarà, secondo l'autore, oggetto di futuro dibattito storiografico. Il Pci, con Umberto Terracini, incalzò il cauto ministro Sforza sul riconoscimento di Israele, che avvenne all'inizio del 1949. Il partito operò inoltre per l'applicazione della spartizione del '47 e per la nascita di uno stato ebraico accanto a uno stato palestinese, mantenendo rapporti intensi con i comunisti arabi ed ebrei, e con il Mapam, partito socialista che raccoglieva i membri dei kibbutz. L'antimperialismo e la mano tesa agli arabi erano considerati fattori di convergenza con questi partiti. Con la crisi di Suez l'atteggiamento del Pci cambiò e ci si rivolse sempre più al mondo arabo "di pari passo con le tendenze maturate nella politica estera sovietica". La svolta filoaraba era cosa fatta e la guerra dei Sei giorni la rese più evidente. Le voci dissonanti nel partito comunista furono quelle dello stesso Umberto Terracini e di Luciano Ascoli, che si resero protagonisti di scontri assai aspri. Fino alla guerra del Kippur la diplomazia italiana e il Pci riuscirono a mantenere comunque una relativa affinità di vedute sulla intera questione, esibendo un progressivo legame con il mondo arabo, temperato dal riconoscimento del diritto di Israele a esistere come stato indipendente e sovrano.
Paolo Di Motoli
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