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Veramente un bel libro su una professione difficile e mitizzata. Candito è capace di raccontare, con equilibrio e senso critico, di fatti e personaggi che hanno fatto il giornalismo. Ho apprezzato soprattutto l'onestà intellettuale, lontana dal tipico atteggiamento piagnone italico, di considerare i giornalisti caduti sul campo non delle vittime innocenti, ma dei professionisti consapevoli dei pericoli che stavano correndo, con la morte in valigia.
Recensioni
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recensioni di Tranfaglia, N. L'Indice del 2000, n. 12
Questo libro, scritto da un inviato speciale della "Stampa" che negli ultimi venticinque anni ha girato il mondo seguendo guerre e conflitti in Africa, in Asia, in America Latina e in Europa, è un grido di allarme di fronte al procedere di tecnologie telematiche e informatiche che rendono sempre più difficile il mestiere giornalistico inteso come filtro e come mediazione tra gli avvenimenti e i lettori-utenti dei mezzi di comunicazione.
Tra i molti episodi che l'autore racconta, con uno stile chiaro e accattivante, quello che riguarda la guerra del Golfo all'inizio degli anni novanta è, da questo punto di vista, assai significativo: se infatti la gran parte dei cittadini in tutto il mondo ha seguito quella guerra attraverso le televisioni piuttosto che sui quotidiani, d'altra parte la telecamera non ha potuto indagare sugli scontri e darci una visione indipendente della guerra, ma ha dovuto sottostare a una rigida censura militare.
Insomma oggi è sempre più difficile, di fronte alle esigenze pubblicitarie e alle prepotenze del potere politico e finanziario, in Italia come in tutto il mondo, emulare le imprese di quel giornalismo libero e indipendente che nell'ultimo secolo, soprattutto nel mondo anglosassone, ha esercitato un importante ruolo di analisi critica della società e dei poteri dominanti.
Il libro di Candito rievoca personaggi importanti di questa storia (a cominciare dall'inviato inglese nella guerra di Crimea William Rossell) ed episodi significativi che si dipanano tra la metà del diciannovesimo secolo e la fine del ventesimo.
Oggi, constata l'autore, il bombardamento delle notizie da tutto il mondo è massiccio, la velocità di trasmissione è straordinaria, ma questo non significa che le informazioni, soprattutto quelle centrali e decisive, si diffondano meglio che in passato.
Il rischio che i giornalisti, da "cani da guardia" dell'informazione (ma in Italia lo sono mai stati? personalmente ne dubito), si trasformino in docili esecutori delle direttive di chi possiede o controlla i mezzi di comunicazione è assai alto nell'era delle nuove tecnologie e delle cosiddette "guerre intelligenti".
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