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Descrizione


L’edizione di riferimento del capolavoro manzoniano ricostruita attraverso la moderna tecnologia informatica. Le bellissime illustrazioni del Gonin recuperate secondo le disposizioni dello stesso Manzoni. L’edizione definitiva dei Promessi Sposi la cosiddetta «Quarantana»), pubblicata a puntate nel 1840-1842 sotto le cure dirette dell’Autore, si caratterizza per l’ampia illustrazione che ne eseguì Francesco Gonin. Risulta che Manzoni, spesso presente di persona in tipografia, discuteva la collocazione in pagina delle incisioni, a volta addirittura cambiava qualche parola o frase per fare in modo che il discorso fosse immediatamente collegato all’illustrazione di riferimento; e inoltre, indipendentemente da questo obiettivo, talvolta operava qualche intervento modificativo del testo, così che esistono differenze tra un esemplare e l’altro dell’opera. Questa situazione del testo dei Promessi Sposi è stata ampiamente indagata dalla filologia manzoniana del Novecento, che ha portato all’allestimento di una edizione critica del romanzo, ma che purtroppo ha rinunciato alle illustrazioni del Gonin, mutilando così il “messaggio” manzoniano.Oggi, la Salerno Editrice ha studiato la possibilità di allestire, con l’ausilio dei moderni strumenti informatici, una nuova edizione che, oltre ad assumere il testo critico corretto, ricostruisca anche perfettamente l’impaginazione originale, ricollocando tutte le illustrazioni di Gonin ciascuna a suo luogo, e insomma ricostruendo in ogni dettaglio, ma ex novo, l’edizione del 1840/’42. A tal fine è stato anche elaborato al computer un carattere tipografico che riproduce esattamente quello originale.

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Dettagli

2006
5 luglio 2006
2 voll., 864 p., ill.
9788884025418

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stefano
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I promessi sposi croce e delizia degli studenti italiani quando viene riletta senza l'assillo della scuola diventa una storia fantastica, scritta con ironia e delicatezza da un grande autore. Edizione di pregio copia anastatica dell'edizione 40-42 con tutte le immagini di Gonin. Comprende "Storia della colonna infame" in appendice

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Voce della critica

Stendhal, recensendo nel 1825 l'edizione in un volume delle opere complete di Alessandro Manzoni (nel 1825!), lamenta la "mediocrità, assolutamente incurabile" degli scrittori italiani, che hanno abbandonato il "linguaggio della verità" e vivono oscuri "sotto la protezione della vanità municipale dei borghesi loro compatrioti". L'unico poeta italiano davvero notevole, osserva Henri Beyle, è il conte Manzoni, che tuttavia non guadagnerà neppure un soldo dalla sua pubblicazione, ricevendo appena un esemplare della propria opera, inviatogli (bontà sua) dall'avaro libraio fiorentino. Nella penisola infatti – conclude Stendhal – uno scrittore non può contare sul suo talento per sopravvivere, ma proprio questo apparente svantaggio si capovolge in uno straordinario privilegio della letteratura italiana, libera da quelle tristi figure di letterati al servizio di partiti e di governi, così frequenti in Francia e in Inghilterra.
Che l'illustre Alessandro Manzoni, "ricco di famiglia", non rientrasse in un'immagine così elitaria e così tipicamente stendhaliana della nostra società letteraria, lo dimostra tuttavia (una ventina d'anni dopo) l'impresa editoriale dell'edizione definitiva dei Promessi sposi: riveduti e "risciacquati" in Arno dopo la prima stampa del 1827, e uniti all'inedito saggio sulla Storia della colonna infame. Nel 1840, infatti, Manzoni riprende il progetto di una nuova pubblicazione del romanzo, ma si trasforma in vero e proprio editore, finanziando personalmente tutte le spese: non solo quella tipografica, ma anche quella delle illustrazioni che dovranno intercalarsi al testo dell'opera e della sua appendice storica. L'autore fa venire dalla Francia "un torchio alla Stanhope", che solo permette l'inserimento delle incisioni; ingaggia un'equipe di "intagliatori" stranieri, da associare ad altri artisti italiani sotto la direzione del pittore piemontese Francesco Gonin; commissiona l'intero lavoro alla tipografia Guglielmini e Redaelli di Milano, che dovrà pubblicare l'opera "per dispense di pagine 8 con circa quattro incisioni, al prezzo di centesimi 40 italiani. Ogni quindici giorni si pubblicherà un fascicolo di due dispense".
L'iniziativa manzoniana non è, ovviamente, l'elegante e narcisistico volteggio di un autore libero da preoccupazioni finanziarie, ma un'autentica "speculazione", come dichiara l'autore stesso a Giacomo Beccaria: "Colla edizione a vignette io mi costituisco di fatto unico venditore, per tutto il tempo che la speculazione dura, cioè per un anno; giacché il contraffattore non può dar fuori quinternetti così nudi di ogni ornato, e contraffare i miei non sarebbe una speculazione, ma una pazzia: bisogna dunque che aspetti l'opera intera". Illustrazioni e dispense fanno dunque parte di un dispositivo insieme aggressivo e difensivo sul piano economico: diffondere l'opera a basso costo, con un sistema simile al feuilleton, ma anche "evitare le contraffazioni e le edizioni pirata che gli avevano sottratto quasi ogni beneficio derivante dallo straordinario successo dei Promessi sposi del 1827".
Quest'ultima esattissima diagnosi è formulata da Luca Badini Confalonieri, che ha curato la ristampa della cosiddetta Quarantana con irreprensibile acribia: non si ha solo il recupero del formato e dell'impaginazione originale dell'opera (correggendo le dimensioni necessariamente ridotte dell'anastatica offerta da Salvatore Nigro nel 2002), ma addirittura la ricomposizione del testo completo, impiegando un carattere tipografico appositamente elaborato e conforme all'originale. Tale difficile scelta editoriale ha permesso a Badini di intervenire con libertà (e moderazione altrettanto opportuna) sul testo del 1840, adottando il testo critico dell'edizione Chiari-Ghisalberti ma anche migliorandolo in alcuni luoghi, intervenendo sui refusi del 1827-1840 e sfruttando le correzioni autografe. Ma la vera novità di quest'impresa è la riscoperta propriamente "visiva" delle illustrazioni originali, riportate alla loro grandezza originaria e quindi percepibili (insieme) nella loro autonomia e nel loro strettissimo legame con il testo manzoniano. Poiché è vero che Manzoni si ispirò, per la sua edizione, alle illustrazioni dei romanzi francesi ottocenteschi (in particolare al Gil Blas di Alain René Lesage nella stampa del 1835 illustrata da Jean Gigoux); ma è anche vero che nel caso dei Promessi sposi la "regia" (come dice Badini) è molto più sofisticata e calcola con finezza posizione e dimensione di ogni vignetta, in una costante interdipendenza o interferenza fra testo e immagine.
Alla fine della famosa descrizione che apre il romanzo ("Quel ramo del lago di Como"), prima di presentare don Abbondio, la Quarantana inserisce un panorama di grande formato che occupa metà pagina: paesaggio del lago, con il "promontorio", e "un'ampia costiera", "il ponte, che ivi congiunge le due rive" e "poco discosto dal ponte" Lecco, ai piedi del "Resegone". Il punto di vista dell'immagine è leggermente sopraelevato, poiché chi guarda deve godere appunto "il magnifico" della "veduta"; e chi guarda siamo noi lettori-spettatori, fuori dal quadro eppure già inseriti impercettibilmente in esso ("Il luogo stesso da dove contemplate que' vari spettacoli, vi fa spettacolo da ogni parte"). Quando invece Manzoni, nel capitolo XXXIII, inserisce una vignetta dello stesso formato esattamente all'inizio della descrizione della vigna di Renzo, unisce sì testo e figura allo stesso modo; ma disponendo questa volta l'osservatore nel quadro, presente e non più suggerito per via indiretta: Renzo, di tre quarti e appoggiato al "muro", "dal di fuori" dà "un'occhiata in giro". La dottissima e allegorica descrizione che segue, peraltro, non si può certo attribuire allo sguardo di Renzo, ma unicamente alla squisita sapienza linguistica del narratore.
Come si vede, insomma, il romanzo del 1840 sovrappone di continuo la parola al disegno e viceversa, in un dosaggio raffinato di effetti che non esclude neppure il sapiente gioco dei rinvii e delle ripetizioni figurative, il "dialogo a distanza fra le illustrazioni" (Nigro). Una simile partitura, che solo il formato dell'edizione Badini permette di apprezzare completamente, va comunque ben oltre la routine delle edizioni illustrate francesi e ricorda, a paradossale distanza, i virtuosismi tipografici di Lawrence Sterne, gli inserimenti calcolati e parodici di pagine bianche, pagine nere e facsimili grafici in The Life & Opinions of Tristram Shandy (famosa, e ripresa anche da Balzac, la linea spiraloide che riproduce il movimento della canna del caporale Trim).
Particolarmente significative, a questo proposito, sono le tre riproduzioni di scrittura in facsimile che I promessi sposi del 1840 inseriscono nel capitolo XXXII (quello sulla peste e i provvedimenti contro il contagio): il "girigogolo" della firma di Ambrogio Spinola, la frase latina del Ripamonti sugli "unguenti" degli untori, la firma di una lettera di Antonio Ferrer su due sospetti avvelenatori. E analogamente in facsimile compare una postilla manoscritta di Pietro Verri nella Storia della colonna infame, che Manzoni unì alla stampa del 1840 proprio come appendice ai capitoli sulla peste. Obliterati o marginalizzati nelle edizioni critiche precedenti, questi inserti sono la prova lampante di una programmata integrazione delle immagini nel testo del romanzo: a ben guardare, infatti, i brevi testi manoscritti non sono degli inserti, ma appartengono (trasformati in icona) al flusso narrativo della parola manzoniana. Qui la figura non si limita più a dialogare con il testo, ma con il testo perfettamente si identifica, senza alcuna soluzione di continuità.
Ha fatto dunque bene Badini a munire il suo commento al romanzo (sintetico ma impeccabile) di una preziosa appendice iconografica, che riproduce i documenti e le varianti figurative del progetto manzoniano, ma anche alcune fonti grafiche e pittoriche della Quarantana: spunti, suggerimenti e citazioni che illuminano davvero il laboratorio dei Promessi sposi. Poiché l'edizione definitiva del 1840 e le sue illustrazioni confermano un'impressione che ogni lettore di Manzoni (anche senza immagini) ha provato: questa scrittura si deve certo leggere, ma anche, a ogni istante, "vedere".
  Rinaldo Rinaldi

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Alessandro Manzoni

1785, Milano

Sua madre Giulia Beccaria, figlia di Cesare, il famoso giurista e filosofo, aveva sposato controvoglia Pietro Manzoni, ricco possidente del lecchese, assai più anziano di lei; Alessandro nacque dopo due anni e mezzo di matrimonio, e probabilmente fu il frutto di una relazione adulterina con il più giovane dei fratelli Verri, Giovanni. Il matrimonio ebbe breve durata e nel 1795 Giulia andò a convivere con il conte Carlo Imbonati, con il quale si stabilì a Parigi. Intanto Alessandro riceveva la sua prima educazione nei collegi dei padri somaschi, a Merate, fino al 1796 e poi, fino al 1798, a Lugano; si trasferì quindi a Milano nel collegio dei Nobili, retto dai barnabiti e vi stette fino al 1801. Ebbe allora contatti con gli esuli politici e approfondì...

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