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Quanto vale un uomo. Con CD Audio - Andrea Camilleri - copertina
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Descrizione


Il drammatico eccidio nazifascista del 1944 nel borgo di Niccioleta in Val di Cecina; la tragica spedizione del generale Nobile al Polo Nord con il dirigibile "Italia"; la pionieristica "nave volante" di Bellanca, geniale ingegnere siciliano che costruì il primo monoplano per la trasvolata dell'Atlantico. Tre storie, o meglio tre idee di storie, semplici canovacci scaturiti dalla fervida mente di Andrea Camilleri con Annalisa Gariglio e ripresi, ampliati e portati sulle scene da tre grandi interpreti contemporanei: Marco Baliani, Ascanio Celestini e Marco Paolini. Quanto vale un uomo riunisce i testi originali e i monologhi rielaborati dai tre attori in un appassionante confronto dal quale emerge tutta la tensione creativa di un work in progress. Per volontà degli autori i diritti editoriali dell'opera saranno donati a Emergency e destinati alla cura delle vittime della guerra e della povertà; anche la casa editrice partecipa a questa iniziativa. Il volume contiene CD audio dei monologhi.
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Dettagli

2016
10 marzo 2016
128 p.
9788857227801

La recensione di IBS


Tre storie scaturite dalla fervida mente di Andrea Camilleri con Annalisa Gariglio e ripresi, ampliati e portati sulle scene da tre grandi interpreti contemporanei: Marco Baliani, Ascanio Celestini e Marco Paolini.

L'epoca che stiamo vivendo ci chiede di comprendere e aprirci a destini che non sono i nostri oggi, ma che lo sono stati ieri, qualche pagina di storia fa. È necessario riportare alla luce le vite e le imprese di uomini che, per qualche strana congettura del destino, sono state relegate ai margini della "Grande Storia" e della conoscenza. Solo volgendo il nostro sguardo al passato avremo l'opportunità di costruire il ponte verso il futuro che ci attende ed è già qui, parte dei nostri giorni.

Tre storie dimenticate dalla memoria breve degli italiani. Storie di uomini e della grandezza delle loro esistenze rimaste sepolte sotto il pesante sipario della "Grande Storia". Storie piccole, ma dal grande valore umano, lasciate vagare nel passato, ma ancora legate alla nostra contemporaneità. Forse perché ci siamo dimenticati come si ascolta la voce delle nostre radici che tanto ci parlano degli sbagli di un popolo. Era la storia di chi partiva dalla rurale Sicilia per approdare dall'altra parte dell'Atlantico nella speranza di costruire un sogno; era la storia di un paese di lavoratori che furono vittime di un eccidio nazi-fascista, solo per difendere il proprio diritto al lavoro. Era la storia di chi partì per conquistare il Polo Nord, ma finì per conquistare una delle più grandi imprese di resistenza umana mai tentate prima. Sono storie che portano addosso dei nomi, nomi che oggi pesano come macigni perché è stato tolto loro il diritto di essere custoditi, indelebili, sui libri. E allora diciamoli a voce alta, questi nomi, scriviamoli, perché da qualche parte possano essere segnati e costuditi per chi, un giorno, voglia raccontare queste storie, così come hanno fatto Andrea Camilleri, Marco Baliani, Ascanio Celestini e Marco Paolini in questa opera scritta a parole e raccontata a teatro.

Il primo nome è quello di Giuseppe Mario Bellanca, ingegnere aeronautico e progettista del primo monoplano a cabina chiusa realizzato negli Stati Uniti e, per una serie di sfortunati eventi, il secondo a compiere la storica traversata atlantica via cielo. Giovane ingegnere aeronautico, Bellanca partì nel 1911 alla volta di New York per non fare più ritorno nella sua terra natia, terra egoista e priva di prospettive, buona per Bellanca solo per far volare gli aquiloni nel cielo di Sciacca, solo per sognare a occhi aperti sotto le ali di un falchetto di mare. Arrivato nel nuovo continente, lavora come macellaio di giorno e di notte lavora al suo progetto. Grazie alle collette dei compaesani emigrati, riesce a progettare il primo monoplano a cabina chiusa e capace di trasportare due passeggeri a bordo, entrando in prima fila tra i pionieri dell’aviazione americana e dando le basi per la costruzione dei futuri airbus. Mentre il «Time» gli dedica la copertina riconoscendogli il ruolo di massimo progettista dell’epoca, l’Italia si dimentica del suo cittadino che cambiò la storia del mondo. Il nome di Bellanca è il nome di tutti quei giovani che ancora oggi, come allora, fuggono. La valigia non è più di cartone, ma la speranza dentro quella valigia non ha cambiato nome.
Quanto vale uno uomo costretto a scappare dal proprio Paese che non ha intenzione di aiutarlo, finanziarlo, tutelarlo, promuoverlo? Quanto vale il sacrificio della lontananza dalla propria terra e dai propri affetti, la frustrazione per non avere un nome in patria? Chiediamolo alle migliaia di giovani su cui l’Italia continua a non in vestire, già da quel lontano 1911, alla moderna emigrazione verso l’estero, all’eterna fuga dei cervelli. Chiediamolo a quella determinazione, a quella fiducia che non appanna questi desideri di esistenze che vogliono farcela. Chiediamolo direttamente alla storia di Peppino Bellanca, riprendiamoci quel nome, aggrappiamoci alla sua figura positiva “con i piedi staccati da terra” per cambiare una mentalità che poco impara dai grandi del suo passato.

Sono i nomi delle 77 persone massacrate nel comune di Nicioletta e dei 21 giovani deportati, nomi cancellati dai libri di storia. Nicioletta è un villaggio della Val di Cecina sorto per ospitare i minatori che lavorano la pirite in quelle terre. Quando, il 9 giugno 1944 i partigiani arrivano al villaggio – Nicioletta è abitato per lo più da lavoratori apolitici e da qualche fascista, ma non rappresenta un fortino partigiano – danno fuoco a qualche camicia nera e agli emblemi della repubblica si Salò, requisiscono le armi e se ne vanno, senza muovere alcuna violenza fisica. La tensione nelle strade di Nicioletta è altissima. I minatori temono che i fascisti possano vendicarsi su di loro per non essere intervenuti alla “punizione” partigiana, temono per la loro miniera, per il loro lavoro. I turni armati alla miniera non servono a molto: gli uomini vengono presto fucilati da un gruppo di soldati nazisti, e da qualche italiano fascista. Si sparge settantasette volte il sangue rappreso, non per un ideale, né per la lotta di classe. Si sparge il sangue per orgoglio ferito, per uno stato animalesco che acceca l’uomo, perché la guerra li ha trasformati in “sadici in preda agli istinti”.
Quanto vale un uomo disposto a morire per la “religione del lavoro”? Quanto valgono i minatori di Nicioletta sterminati senza ragione, per una pura furia dettata dall’odio? E quanto valgono, dieci anni dopo, a venti chilometri da Nicioletta, i minatori di Ribolla, 43 morti, senza ritegno né dignità, causati da un’esplosione e dai dirigenti sordi al pericolo? Valgono un processo per disastro e omicidio colposo alla Montecatini, che cade nel nulla; valgono i licenziamenti dei figli delle vittime, solo cinque anni dopo, e la chiusura delle miniere. Valgono quanto i morti dell’Ilva che cadono come mosche, valgono quanto i tumori che stanno sterminando la popolazione tarantina, valgono 688 tonnellate di polveri immesse ogni anno nell’atmosfera, quanto la polvere rossa che ricopre le lenzuola stese nel cielo di Taranto

Sono i nomi della tragica impresa del generale Nobile al Polo Nord con il dirigibile “Italia” che si schiantò sul pack facendo disperdere un gruppo di uomini in mezzo al nulla. Sono i nomi di Zappi, Mariano e Malmgren e della loro spedizione partita per cercare soccorso, per loro e per i compagni lasciati in balia del gelo, in una tenda rossa. Spedizione di quaranta giorni nel nulla, alla quale sopravvissero solo i militari Zappi e Mariano.
Quanto vale un uomo quando non viene creduto dalla stampa? Quanto l’accusa di omicidio e di cannibalismo fa gola sulle pagine di un giornale e si spartisce, a brandelli, tra l'opinione pubblica? Questo accadde nel 1928, ma anche in tempi più recenti, quando Reinhold Messner si trovava sul Nanga Parbat con il fratello che morì nell’impresa, o quando Ambrogio Fofgar subì sorti simili. Vale la facilità con cui si preferisce speculare sulla notizia, fino alla diffamazione, senza indagare realmente, senza provare un sforzo d’immaginazione che ci rende omuncoli limitati. Vale la diffamazione di Mariano (e Zappi) che onorò il nome dell’amico Malmgren, offrendolo a suo figlio nascituro.

Storie di ieri e di oggi che sono state riprese da Andrea Camilleri e che ci presentano quell’Italia che aspetta il suo spazio per essere conclamata. Storie raccontate per non essere più abbandonate nel granaio ammuffito della nostro Bel Paese, per ricordarci quanto vale un uomo e, quanto invece voglia farlo valere la nostra società amnesica.

Per volontà degli autori i diritti editoriali dell’opera saranno donati a Emergency e destinati alla cura delle vittime della guerra e della povertà; anche la casa editrice partecipa a questa iniziativa.

A cura di Wuz.it

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Andrea Camilleri

1925, Porto Empedocle (Agrigento)

Nato a Porto Empedocle (Agrigento), Andrea Camilleri ha vissuto per anni a Roma.  Dal 1939 al 1943, dopo un periodo in un collegio da cui viene espulso, studia ad Agrigento al Liceo Classico Empedocle dove ottiene la maturità classica senza dover sostenere l’esame a causa dell’imminente sbarco degli alleati in Sicilia. A giugno inizia, come ricorda lo scrittore, "una sorta di mezzo periplo della Sicilia a piedi o su camion tedeschi e italiani sotto un continuo mitragliamento per cui bisognava gettarsi a terra, sporcarsi di polvere di sangue, di paura".  S’iscrive all’Università (Facoltà di lettere) ma non si laureerà mai. Si iscrive anche al Partito Comunista.Inizia a pubblicare racconti e poesie e vince il Premio...

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