L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Promo attive (0)
Edmund White torna a forme esplicitamente autobiografiche con questo Ragazzo di città; è il suo quarto libro pubblicato da Playground, che ha assunto l'ormai raro compito di esserne fedele editore italiano (dopo My Lives, nel 2007, cfr. "L'Indice", 2007, n. 10; Hotel de Dream, nel 2008, cfr. "L'Indice", 2008, n. 12; Caos, nel 2009. Due testi di non-fiction sono usciti da altri editori, La doppia vita di Rimbaud da minimum fax nel 2009, cfr. "L'Indice", 2010, n. 2; e Ritratto di Marcel Proust da Lindau nel 2010. Tutti tradotti da Giorgio Testa, eccetto la piccola biografia di Marcel Proust, tradotta da Diana Mengo). Peccato non avere mantenuto nell'edizione italiana il sottotitolo che compare in quella originale: My Life in New York During the 1960s and '70s, che, oltre a legare il testo al precedente My Lives (e insieme, con il passaggio al singolare, distaccarsene), circoscrive e indirizza ambito e intenzione.
La delimitazione temporale sembra provocare nel ritmo, sovente lungo, della narrazione di White un'accelerazione, sin un affastellamento. Diviso in diciotto capitoli (peccato, manca l'indice, e manca tantissimo, ma avrebbe allontanato dall'intenzione che è, anche, romanzesca, un indice dei nomi) che si accentrano con apparente indolenza su un momento, o più spesso su una persona, e che costruiscono una sorta di sdrucciolevole sistema di pianeti, di stelle, galassie dove White ha agio di descriversi sempre come laterale, come incidentale, Ragazzo di città è un testo divertito, e divertente. Anche forse gioca il fatto, fondatore in White, di ripresentare materiali che già sono comparsi altrove, le stesse persone, gli stessi fatti, magari con altri nomi, con altri aspetti, verso i quali, a chi avesse letto altri libri di White e questo infatti non è il migliore per cominciare si crea un'ironica solidarietà, una sorta di bonus di simpatia, che ben dispone verso quello che è in realtà un complesso tour de force, non solo lungo due decenni pirotecnici come pochi altri (compressi fra i cinquanta e i novanta, sembrano contenere lo spazio di vite intere), ma lungo il potere definitorio della forma autobiografica. Il passaggio dalla prima persona singolare alla prima plurale è orchestrato con rara maestria, si fa generazionale, quando descrive la messe di artisti che popolano il panorama intellettuale di allora (e pagine divertenti, commosse, acute, pure perfide, sono dedicate a Susan Sontag, che chiude il libro, a suggello, insieme all'avvento dell'Aids, Robert Mapplethorpe, Robert Wilson, ma anche Truman Capote, Vadimir Nabokov, Roland Barthes e, sembra, infiniti altri e altre), di gruppo, quando il ragazzo di provincia arrivato in città diventa parte di una comunità, nel mentre stesso della nascita di quella comunità ("noi gay", la partecipazione ai fatti dello Stonewall), nazionale, nel pendolarismo lento fra Europa e Stati Uniti. Dalla sua piana lateralità White pone costantemente a sé e a chi legge, senza mai dedicarvi una riga, il problema della distanza fra chi racconta e chi ascolta, e della loro, mutua, definizione. Federico Novaro
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore