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AURELIO BULETTI, REGINE – ADV, LUGANO 2016 “Madamina, il catalogo è questo”, viene da canticchiare leggendo il libro di versi di Aurelio Buletti: una sorta di Don Giovanni filosofico al contrario, alquanto misogino, beffardo e risentito, nel presentare il suo inventario di Regine, reginette, principesse, marchese, proletarie, commesse, cameriere, artistoidi, casalinghe, attricette, puttanelle, nobildonne e intellettuali sfigate. Un po’ frigide un po’ assatanate, mantidi religiose o bacchettone, le femmine di Buletti vengono schedate con impietoso sarcasmo, in un lussureggiante e fantasmagorico elenco di divertite metafore: Notte Profonda, Degna di Lode, Stanca di Tutto, Ventata di Allegria, Foresta Nera, Tabula Rasa, Acqua Passata, Anima Pura, Spesa Folle, Sola Soletta, Pesca Matura… In crudelissimi distici, terzine o quartine, l’autore inquadra vizi reali e false virtù dell’intero universo muliebre, con relativi imbalsamati o rimbambiti accompagnatori: non si salvano mamme e nonne, mogli e fidanzate, insegnanti e studentesse, tutte accomunate da una teatralità infingarda, tesa a macchinare trappole per irretire ingenui maschioni, da sfruttare sessualmente ed economicamente. “Spesa Folle non ama Preventivo, / detesta addirittura Consuntivo”, “Gara D’Appalto ha molti spasimanti: / sceglie per lei Autorità Preposta”, “Dolce Brezza accarezza Prato Bello, / gli sussurra di esistere per quello”, “Figlia dei Fiori si sente smarrita: / la consola la vecchia Anny Sessanta”, “Turris Eburnea vive isolata: / quanti ne incontra invece ogni giorno / Refugium Peccatorum”, “Voce Poetica / quando si crede voce di Messia / ogni testo lo chiude in così sia”. I luoghi comuni vengono rivitalizzati in una spiazzante e sogghignante resa ritmica, sottolineata dall’aculeus finale, sempre intelligente nella sua esacerbata “agudeza”, e la copertina del volume (rosa con tante silhouette di intercambiabili figure femminili) si adegua elegantemente all'ésprit dei versi.
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