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Descrizione


I "Souvenirs d'égotisme" furono scritti in sole due settimane, dal 20 giugno a 4 luglio 1832. Il contesto nel quale l'opera nasce è noto: l'esperienza infelice del funzionario nello Stato pontificio, la noia di Civitavecchia e di Roma. Dall'inizio Stendhal aveva concpito il progetto di raccontare la propria vita. In due lettere a Domenico Fiore aveva scritto che dopo essere stata il biografo di tanti uomini, voleva scrivere di sè. Conosceva bene i fatti della sua vita, ma dichiarava di non conoscerne il protagonista. ALl'amico confidava di avere un bisogno assoluto di sincerità, di divertirsi a "descrivere tutte le debolezze dell'animale" senza risparmiare nulla.
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Dettagli

1999
Tascabile
4 giugno 1999
XXXV-114 p., Brossura
9788811587415

Voce della critica


recensioni di Riccioli, G. L'Indice del 1999, n. 11

Il lettore dei grandi romanzi stendhaliani non sarà tanto sconcertato dal respiro, dal ritmo della scrittura dei Ricordi di egotismo, dalle continue disgressioni che l'autore opera, dal fluire degli aneddoti, dalla mancanza di nessi tra i diversi episodi e i personaggi che vengono evocati, tra i continui mutamenti della prospettiva narrativa, del suo carattere. Avendo letto i romanzi di Stendhal, il lettore è, in un certo senso, preparato a cogliere la specificità della scrittura dei Ricordi di egotismo, editi ora da Garzanti, con un profilo storico-critico di Mario Lavagetto e prefazione, traduzione e note di Mariella Di Maio. In questa opera, la frantumazione del discorso narrativo stendhaliano e il ricorso alle digressioni toccano punte molto alte, anzi essi si rivelano aspetti, in un certo senso, originali, necessari: pertanto non rischiano di allontanarci dal testo, di confonderci le idee.Come scrive Lavagetto, i nessi possono apparire e talvolta sono molto fragili, ma come i meccanismi ad alta precisione di un congegno sofisticato e implacabile.

Prima ancora di essere un documento autobiografico, le pagine rapide e comunque dense dei Ricordi di egotismo si configurano come una straordinaria "confessione", anche se l'autore, in certi momenti, sembra volere rispondere a un intento di documentazione personale. Scrive, infatti, all'inizio della sua opera, di voler fare un breve resoconto di quanto gli è accaduto nei nove anni trascorsi a Parigi, tra il 21 giugno 1821 e il novembre 1830.Ma noi lettori possiamo avvertire immediatamente che non ci troviamo dinanzi a una petite mémoire. Tanto più che è l'autore stesso che chiarisce il carattere dei suoi souvenirs: smentendo il tono semplice, quasi dimesso, dell'incipit della sua opera, egli si appella al coraggio di scrivere di se stesso, spiega la scrittura di quel suo libro come un effetto del suo abominevole egoismo, sente tutto l'orrore di parlare di sé: "Come una donna onesta - scrive significativamente - che si mette a fare la puttana: deve vincere il pudore dell'uomo onesto che ha orrore di parlare di sé.Eppure, questo libro non è fatto d'altro".

Presentato come un resoconto personale, questo discorso stendhaliano si rivela subito come qualcosa di palpitante, di profondamente vero: un'apertura sull'"io" profondo dello scrittore, così come si rivela, ad esempio, nel racconto distaccato e spesso molto ironico di un "fiasco", di una delusione provata dopo tre anni di intimità con una donna che adorava, che lo amava e che non si era mai data a lui: cioè, Matilde Dembowski; o nella confessione della tentazione del suicidio, superata grazie ai suoi interessi politici.Ci sembra che tutti i discorsi critici sul rapporto di Stendhal con la scrittura autobiografica, sul rapporto tra l'"io" narrante e l'"io" narrato, trovino in questi Ricordi di egotismo una fondamentale testimonianza, profondamente vera e autentica, della sensibilità stendhaliana, del suo modo di affrontare la realtà dell'"io", l'esperienza personale.L'opera non costituisce solo una confessione, una rivelazione, un esame di coscienza "colla penna in mano": c'è nei Ricordi di egotismo una sorta di sfida a se stesso dell'autore a dire la verità, a fissare sulla carta le sue esperienze, le sue passioni, i suoi rovesci, le sue delusioni, la sua inadeguatezza, e anche lo sfogo sulla sua cattiva sorte, su un destino amaro e la semplice constatazione che la sua esistenza è stata segnata sempre da rapporti guidati dal caso.

Contraddittoriamente, rispetto alla convinzione del carattere impudico della confessione, si fa strada nell'autore un sentimento opposto, in difesa dell'"egotismo", che rivendica il potere della sincerità: "Se questo libro è noioso, fra due anni servirà al salumaio per incartarci il burro; se non è noioso, si vedrà che l'egotismo, ma sincero, è una maniera di dipingere il cuore umano sulla cui conoscenza abbiamo fatto passi da gigante dopo il 1721, data delle Lettres persanes, di quel grand'uomo che ho tanto studiato: Montesquieu".

Una sfida, quella ingaggiata dall'autore contro l'abominevole egoismo del parlare di sé, che egli ha sicuramente vinto.Anche se in modo sparso, sconnesso, egli ci fa penetrare nel suo universo, evoca un momento personale sul piano sentimentale, politico, sociale, magari per mezzo di dettagli, di rivelazioni, di confessioni di intimi disagi e di attese.In un certo senso, i Ricordi di egotismo finiscono per apparire come una grande nota a margine che accompagna, commenta, sottolinea il "testo" della vita dello scrittore.La verità autobiografica si rivela in particolari, in note consuntive secche, asciutte, che nella loro stringatezza appaiono più eloquenti: pensiamo, innanzitutto, a quelle riguardanti le occasioni, i luoghi, i momenti precisamente indicati in cui lo scrittore si è sentito felice e infelice: "le passeggiate lungo il Tamigi, verso Little Chelsea" lo commuovono; nel salone del Tavistock Hotel che si apre sul Covent Garden si sente "meno infelice"; più tardi, sulla stessa piazza del Covent Garden, si sentirà "molto infelice".Per gli anni successivi, Stendhal annota secco: "Dal 1826 al 1832 non ho sofferto".Ma la rassegna dei momenti felici e infelici accompagna e contrappunta tutto il discorso di questi ricordi egotistici, che trovano quasi una loro conclusione in una riflessione dell'autore: "Si può conoscere tutto tranne se stessi", quasi che quel suo girare attorno a se stesso, nel tentativo di definire il senso della sua avventura esistenziale, di coglierlo in una specie di "raptus", non possa avere un esito diverso, sia una ricerca priva di senso.

Abbiamo accennato brevemente al profilo composito, cangiante di questi suggestivi Ricordi di egotismo, ora rendiconto e memoria, ora confessione, esame di coscienza, riflessione; Mario Lavagetto, nel suo profilo storico-critico dell'autore e dell'opera, suggerisce, a un certo punto, un'interpretazione molto interessante e suggestiva del processo che ha dato forma ai Ricordi di egotismo: secondo il critico, questo libro potrebbe essere anche recepito come un "verbale" di una giornata dello scrittore, redatto da un invisibile stenografo: un "verbale" in cui tutti i segni possono divenire eloquenti e significativi; un'ipotesi che anticipa quel modo di vedere l'"io" e di rifletterne il multiforme movimento interiore che il critico rintraccia nella Storia della giornata di ieri di Tolstoj, e che potrebbe già costituire una "premonizione sorprendente di quello che sarà il tempo dell'Ulysses".Una suggestiva ipotesi che rinnova, in un certo senso, i tentativi interpretativi della scrittura autobiografica stendhaliana, sottolineando il ruolo dei moti interiori dell'anima, del loro flusso.

Nella prefazione di Mariella Di Maio, il lettore troverà accurate e interessanti pagine sul significato del titolo, sulla parola "egotismo", sulle sue origini, sul suo uso, sulle sue valenze psicologiche ed estetiche.Il critico nella struttura frammentaria e digressiva di quest'opera stendhaliana coglie "un ordine più intimo e segreto": una sorta di romanzo di formazione.Una prospettiva anch'essa molto suggestiva e stimolante.

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Conosci l'autore

Stendhal

1783, Grenoble

Pseudonimo di Henri Beyle. A sedici anni si trasferisce a Parigi dove si impiega al ministero della Guerra. Nel 1800 raggiunge l'armata napoleonica in Italia e lavora come impiegato nell'amministrazione imperiale, viaggiando in Germania, Austria e Russia. Dopo la caduta di Napoleone si stabilisce in Italia, abitando soprattutto a Milano. Torna a Parigi nel 1821, vive collaborando a riviste con articoli di critica artistica e musicale. Dopo la rivoluzione del 1830 e l'avvento di Luigi Filippo viene nominato console a Civitavecchia. Muore a Parigi. Le sue opere principali sono: "Considerazioni sull'amore" (1822), "Il Rosso e il Nero" (1830), "La Certosa di Parma" (1839), "La Badessa di Castro" (1839), "Vita di Henry Brulard" (1890), "Ricordi d'egotismo" (1892), "Lucien Leuwen" (1894).

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