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1988
27 luglio 2004
720 p., ill.
9788802041742

Voce della critica


recensione di Guagnini, E., L'Indice 1989, n. 5

La ricerca sul romanzo italiano del Settecento ha conosciuto, negli anni più recenti, una ripresa di interesse, dopo un lungo periodo di silenzio, se si eccettuano i pochi rituali accenni dei manuali scolastici e qualche trattazione più estesa nelle storie letterarie delle "grandi opere". A voler ricordare il contributo più analitico in assoluto, tuttora valido e operante (perciò se ne consiglierebbe una ristampa, con le integrazioni bibliografiche del caso) bisogna risalire all'ampio volume di G. B. Marchesi del 1903 ("Studi e ricerche intorno ai nostri romanzieri del Settecento"). La stasi successiva dell'indagine è ascrivibile a molti e diversi motivi: da un lato, una ragione interna allo stesso secolo XVIII, in cui il romanzo aveva conosciuto una fase non facilmente definibile di rodaggio di modelli, linguaggi e schemi, anche a confronto della più vasta e importante produzione europea; da un altro lato, la riserva nei confronti di un genere che non sembrava aver prodotto, in Italia, testi di alto livello, punte di rilievo. Una riserva di natura estetica, che faceva riscontro al sussiego con cui, nello stesso Settecento, il genere romanzo era stato guardato: non solo perché appariva come un genere senza preciso statuto e regole, ma anche perché veniva considerato come sospetto per vari motivi: in quanto produzione di consumo, genere di evasione, di divertimento, di intrattenimento, adatto alla soddisfazione effimera e leggera del tempo libero (anche se alle volte poteva assumere tematiche e obiettivi più impegnati), spesso da respingere per le sue deviazioni dalla moralità e dagli stessi valori religiosi (come sostenne in una sua appassionata perorazione contro i romanzi, nel 1796, il gesuita G.B. Roberti).
Ma vi era stato anche chi (come l'illuminista napoletano Giuseppe Maria Galanti, allievo del Genovesi) aveva rivendicato allo stesso genere le potenzialità di uno strumento di educazione morale - a cui non erano estranee le potenzialità artistiche - in una società in cui si andava modificando il quadro del pubblico, dei modelli di rapporto familiare e sociale e del gusto che risultava ad essi collegato nel distacco da un'organizzazione sociale di tipo aristocratico e tradizionale.
La ripresa recente di studi e di ristampe di testi del romanzo italiano del Settecento è ascrivibile a ragioni diverse cui si può solo accennare: una riflessione, anche di carattere storico, sempre più attenta ai generi, alla loro gerarchizzazione, dinamica, sviluppo; un'attenzione particolare al Settecento letterario italiano come secolo-crocevia che riprende, accosta, fonde e rielabora forme della tradizione e forme della nuova cultura; il riguardo particolare al problema del pubblico, che si va rinnovando, nel Settecento, con l'allargamento a nuovi strati di lettori, di cui quello femminile diventa l'emblema di una novità che riguarda le forme e la sensibilità così come i contenuti e le prospettive ideologiche; la ricerca, che è propria del nostro tempo, sulla produzione letteraria di consumo, ma anche, più latamente, sulla stratificazione del gusto, della produzione, della fruizione e sulla formazione di generi nuovi sollecitati da questa stratificazione. E ancora, una più approfondita conoscenza della storia del romanzo europeo e delle sue poetiche, la pubblicazione di testi relativi alla sua vicenda storica in Europa e in Italia, ai suoi fondamenti teorici alle sue poetiche (si ricordi, su questo punto, l'"Introduzione" di Romolo Runcini alla recente edizione italiana di "Lo sviluppo del romance", di Clara Reeve, Dick Peerson, Napoli 1987).
A questo punto, naturalmente, bisognerebbe segnalare contributi critici recenti (e pubblicazioni o analisi di testi) che riguardano il Settecento italiano: per esempio, su Pietro Chiari (da Giorgio Petrocchi a Franco Fido a Claudio Varese ad Armando Marchi ad Anna Vecchiutti), su Antonio Piazza (da Edoardo Villa a Ilaria Crotti a Roberta Turchi), sul Pindemonte (Edoardo Villa, Angiola Ferraris), su Casanova romanziere in italiano (Luca Toschi), su Zaccaria Seriman (Gilberto Pizzamiglio), su Foscolo romanziere e studioso della posizione del romanzo (Alberto Cadioli), e - più in generale - sul dibattito polemico e teorico intorno al romanzo e alla dinamica dei generi narrativi.
Il recentissimo volume antologico qui recensito si può considerare come la sintesi di un periodo di studi e anche una base per nuovi bilanci, nuovi studi e nuove interpretazioni. Molto ampio nell'introduzione e nella parte dedicata ai testi, esso propone un percorso di lettura senza voler esaurire una ricognizione testuale più specifica, anche minore, anche relativamente agli scritti di polemica e di poetica del genere (molte informazioni vanno recuperate nelle pagine e nelle note dell'introduzione).
Dovendo definire la posizione di Portinari nella ancor breve storia della ripresa di studi sul romanzo del Settecento, si potrebbe dire che essa rappresenta una mediazione tra l'atteggiamento di riserva e perplessità verso questa produzione (considerata in una condizione di inferiorità di risultati rispetto a più originali acquisizioni in più avanzati settori europei) e una apertura cauta su una vicenda che pur presenta i suoi motivi di interesse, per una dinamica non banale del genere: ne scaturisce una proposta d'assieme che già di per sé è suscettibile, per il lettore, di sviluppi di letture e di riflessione, anche se il piccolo 'corpus' è limitato rispetto a quello proposto nell'"Introduzione". Ma questo è lo scotto che si paga inevitabilmente al genere antologia. In ogni caso, per la diffusione e l'autorità della collana, è una sorta di rompighiaccio che intacca la crosta di un 'pack' e apre la strada a nuove ricerche.
Il problema che allora nasce riguarda la possibilità e il modo di fare storia (e antologia) di un genere in un secolo, e la riducibilità dei suoi prodotti a un quadro unico di riferimento, dato che si tratta di un capitolo con caratteristiche di forte sviluppo. Difficoltà che è ben presente a Portinari, quando richiama alla "mobilità" del fenomeno, "soprattutto in una stagione di segni vari, polisemica nella variabilità dei significati, nella contraddittorietà anche, nella instabilità", o quando ricorda come "il romanzo moderno fin dalla prima nascita fruisce d'una qualità specifica e congeniale ed è la polivalenza o la plurigenericità del genere (con conseguenti sottogeneri)". Che è poi quanto ci viene documentando nell'arco cronologico considerato nell'"Introduzione" dal Gigli al Foscolo, prospettando le varietà parodiche, le forme dell'idillio erotico, gli umori ironici e satirici, le cosmografie fantastiche e utopiche con risvolti comici e critici, le velleità e volontà "filosofiche" anche del romanzo di consumo, i tributi pagati all'imitazione di modelli stranieri, i risvolti avventurosi e quelli riflessivi, le combinazioni fantascientifiche, quelle filosofico-allegoriche, la ricerca "archeologica" di vario segno, i riflessi pedagogici e iniziatici, la precettistica di vario orientamento, i tentativi più complessi come l'"Ortis" (1798), con ambizioni articolate: filosofiche, sentimentali, politiche. Che è, certo, la storia di un'approssimazione al romanzo moderno, ma anche l'affascinante disegno di un faticoso approccio (a più e diversi livelli) a un nuovo modo di raccontare in una tradizione particolare come quella italiana, sulla quale pesavano ipoteche pesanti della tradizione. Sia sotto il profilo della ricerca formale e strutturale sia sotto il profilo ideologico, la storia e la dinamica del genere (e dei suoi sottogeneri) presentano un percorso che non è meno interessante se si pensi che all'un capo del secolo troviamo un romanzo pastorale (manifesto di un'accademia) come l'"Arcadia" del Crescimbeni (1708) e all'altro capo un libro così moderno come l'"Ortis": con una acquisizione di prospettive che sono comuni anche alla letteratura di viaggio, al giornalismo, alla saggistica, ecc.
Si tratta, in gran parte, di approssimazioni, e non sempre riuscite, talvolta ingenue, come Portinari ribadisce più volte, ricordando che i risultati culturali e artistici più autentici del secolo vengono raggiunti in altri campi. E, d'altra parte, Portinari ricorda giustamente come, da un lato, a spiegare le differenze e i dislivelli tra romanzo italiano e romanzo europeo sia necessario richiamarsi ai "capitoli socio-politici delle rispettive storie", da un altro lato la necessità "a proposito del romanzo", di non dimenticare "la temperie culturale generale" in cui si sviluppa, che è quella in cui nascono le scienze sociali, per esempio, in cui si impone cioè un metodo critico nuovo di considerare l'uomo all'interno di un ambiente e di una società in evoluzione e modificazione (...) La nuova scienza romanzante è l'antropologia, forse, ma non potremmo pensarla mai avulsa da quell'altra, tipicamente settecentesca, che è l'economia politica: n‚ infine si può dimenticare come la psicologia, cardine narrativo, si liberi dalla casualità per cercare sostegni sperimentalmente scientifici".
Questo spiega quel senso di laboratorio che si ha indagando sui processi di sviluppo del romanzo del secolo, quel senso di indagine affannosa non sempre caratterizzata da obiettivi chiari e risultati alti. E, tuttavia, il capitolo è interessante perché appare come un'altra delle possibili panoramiche che possiamo avere di quell'officina della prosa che è il Settecento italiano, di un secolo in movimento e di un paese che cercava faticosamente cifre comunicative moderne.

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