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Don Giovanni Costantini insegna da più di nove lustri nel seminario di Vicenza,da sempre in stretto contatto con giovani studenti che scelgono il difficile cammino della vita consacrata,e in comunità con altri sacerdoti. Insegna la mattina,e di pomeriggio scrive. Tutti i giorni. Nella sua vita ha scritto decine di libri di poesie, migliaia di versi: non edulcorati, retorici o falsamente devoti come quelli a cui ci ha abituato tanta letteratura religiosa. Versi duri,visionari,quasi apocalittici,mai consolatori: icastici e frantumati anche nella disposizione grafica sulla pagina,sfalsati sul rigo,punteggiati da lettere maiuscole persino all'interno delle parole. E sa leggere le sue poesie come nessun altro,con voce impostata da navigato attore,con forza vibrante e attenta a ogni pausa,cesura, interpunzione: capace di intensificarsi e addolcirsi seguendo anche i significati meno evidenti. Anni fa Raffaele Crovi ha definito don Costantini "il più grande poeta cattolico italiano". Senz'altro un poeta vero,e diverso da tutti,che non si rifà ad alcuna tradizione novecentesca. Invece, leggendolo,vengono in mente i Salmi,o i Profeti, per il vigore e la luminosità del suo dettato poetico,e per l'infiammata ispirazione che lo sostiene. In questo libro,pubblicato in occasione del suo cinquantenario di sacerdozio, e tutto dedicato alla celebrazione del ministero presbiteriale, non c'è solo l'omaggio alla figura del prete (alla sua vocazione, al suo oblativo servizio alla comunità, alla sua obbedienza e castità, alla sue preghiere di affidamento: ma anche alle debolezze,alla solitudine,alle crisi che la sua missione comporta e conosce). Ci sono continui e innamorati ed esaltanti inni all'essenza del cristianesimo, di cui il sacerdote si fa interprete e strumento. Inni alla Trinità, a Maria, alla Chiesa, in cui esibisce invenzioni linguistiche azzardate, neologismi spiazzanti, e una visionarietà che si apparenta e supera spesso quella dei più infuocati mistici medievali.
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