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Di questi tempi, fioccano saggi e opere letterarie che, in forma diaristica o romanzata, trattano di esperienze di malattie e guarigione, e - per quanto riguarda noi - di rapporti con il Sistema sanitario nazionale. Alcune sono eccessivamente polemiche, mentre altre riescono a puntare il dito, non tanto sul "marcio" nel nostro sistema sanitario, quanto piuttosto sule sue "disfunzioni". Appartiene alla tipologia della saggistica "diaristica" il piccolo volume del giornalista Roberto Levi, preceduto dall'accativante presentazione di Umberto Veronesi. L'autore, racconta in prima persona d'una propria esperienza di malattia (così sembrerebbe, salvo ad avanzare il dubbio che possa trattarsi d'una finzione letteraria), dal riconoscimento dei primi sintomi all'avvio d'un iter tortuoso e complicato per identificare una possibile diagnosi, con l'attivazione d'un calvario, che, ironico e disincatato, lo porta ad entrare in contatto con diversi aspetti - pubblici e privati - del mondo della terapia e della cura. Il suo percorso presenta delle vicende quasi paradossali e grottesche. Dietro l'ironia s'intravedono alcune grandi disfunzioni, che tuttavia sembrano dipendere da un'umanizzazione ancora alquanto precaria nella relazione intercorrente tra i "sacerdoti" della diagnosi, della terapia e della cura e i "pazienti", secondo una geometria che non è mai armonica e paritaria, ma sempre segnata da una forte asimmettria e dal fondamentale squilbrio nel gioco di forze in campo. Il paziente viene rappresentato come una "vittima" del sistema, anche se alcuni dei suoi patimenti derivano dall'incertezza che tuttora domina l'approccio alle malattie, dall'impossibilità - in una grande percentuale di casi - di formulare diagnosi sicure, dal collidere di scuole di pensiero diverse, dall'incidenza pesante di interessi personali. Il problema è che lo scientismo dominante ha oscurato troppo l'empirismo della Medicina, la sua natura di scienza "debole", le sue incertezze, benchè interessi commerciali predichino il contrario.
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