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Dettagli

2007
27 settembre 2007
648 p., Rilegato
9788884025906

Voce della critica

Nel 1815 Antonio Canova è a Londra, in visita al Museo Britannico, e osserva fra l'altro una Venere ellenistica, commentando: "La carnosità di questa figura è sorprendente". Di due satiretti romani nota "il torso carnosissimo" e "il ventre appiattato largo, carnoso"; di un Ercole giacente dice ancora essere "bellissimo e carnosissimo"; scrutando un torso di Venere lo descrive come "assai carnoso". In una lettera a lord Elgin in persona, Canova parla dei marmi del Partenone e afferma perentorio: "I nudi sono vera e bellissima carne". E altrove ribadisce anaforicamente il valore evocativo-definitivo della parola "carne" per designare la grande scultura: "Le opere di Fidia sono una vera carne, cioè la bella natura, come lo sono le altre esimie sculture antiche; perché carne è il Mercurio di Belvedere, carne il Torso, carne il Gladiator combattente, carne le tante copie del Satiro di Prassitele, carne il Cupido di cui si trovan frammenti da per tutto, carne la Venere, ed una Venere di questo Real Museo è carne verissima".
Stiamo citando da un volume di Scritti del Canova, appena uscito come primo tomo dell'edizione nazionale delle opere; si tratta di una riproposta rinnovata e aggiornata degli Scritti precedentemente usciti nel 1994, con apparati ricchissimi e squisita leggibilità. Vi si possono ripercorrere gli importanti Quaderni di viaggio del 1779-1780, in cui il giovane scultore già agguerrito scopre Roma e Napoli, gli altrettanto rilevanti Appunti sul viaggio in Inghilterra del 1815, l'Abbozzo di biografia del 1804-1805, probabile fonte principe della celebre biografia canoviana di Melchior Missirini, le straordinarie "registrazioni" della Conversazione tra Antonio Canova e Napoleone del 1810, oltre a preziosi libriccini di conti, appunti, note di spese, testamenti, persino un Libretto di esercizi di lingua inglese e altro, cose più o meno note agli specialisti ma sicuramente fascinose tutte per i dilettanti e gli amatori.
La carnosità del marmo, dunque, la delicata pastosità delle forme. Chi ha visto alla Galleria Borghese la mostra Canova e la Venere Vincitrice (18 ottobre 2007 - 3 febbraio 2008, catalogo notevole a cura di Anna Coliva e Fernando Mazzocca, Electa, 2007) ha percepito la sensualità morbida e soda a un tempo di quelle figure femminili ed ermafroditiche dalla pelle d'ambrosia resa luminosa con cera vergine o spirito d'aceto o acqua con polvere di ferro. E ha rivissuto quell'urgenza neoclassica di non far percepire anatomie troppo dure e troppo evidenti, ripensando ai precetti canoviani riportati dal Missirini: "S'egli è vero che l'arte debba essere imitazione della natura, seguiamo dunque anche in questa parte la natura, la quale perché non si palesi la notomia, la ricopre mirabilmente d'un ingegnoso velo di pinguedine e di pelle, non presentando agli occhi che una dolce superficie, che soavemente si modula e s'abbassa e s'incurva senza risalto" (vedi i Pensieri di Antonio Canova sulle belle arti riproposti a cura di Manlio Brusatin per l'editore Abscondita, 2005). Dolce saporosa pinguedine, tutta piena di carne e di desiderio vivo anche nel sonno. Senza pieghe o asperità, come Winckelmann osservava cupidamente nei capolavori greci che "ci mostrano una pelle non tesa ma lievemente distesa sopra una carne sana che la riempie senza turgidi rigonfiamenti" (dai Pensieri sull'imitazione, nella traduzione di Michele Cometa). Però proprio la collocazione della mostra romana nella Galleria Borghese ci offre il confronto in situ con il Bernini, vituperato da Winckelmann, e si scopre una continuità con il modello e il modellato barocco che può persino sorprendere. A tal proposito si rimanda allo splendido e innovativo saggio di Coliva nel catalogo (Canova, Bernini e la Villa Borghese) e ai giudizi del giovane Canova nei Quaderni di viaggio evocati: "Vidi poi il gruppo di Apollo e Dafne, del Bernini, lavorato con tanta delicateza che sembra imposibile, vi sono le foglie dell'aloro di meraviglioso lavoro, bello è ancora il nudo che non credevo tanto".
Insomma, quella mano imperiosa di Plutone che affonda nel fianco molle e vivo di Proserpina nell'altro gruppo berniniano borghese avrà incantato Canova come incanta noi? Certo, in Canova non c'è soltanto la sensualità carnosa. C'è il turbamento di fronte alla violenza pura e assurda, e si pensi all'Ercole e Lica o ancor più al pugilatore Creugante, che torvo sta per vibrare il colpo con cui sfonderà l'addome dell'avversario Damosseno strappandogli le viscere, come racconta Pausania nella sua Arcadia (vedi l'Abbozzo di biografia nel volume di scritti che recensiamo). E poi, più di tutto, c'è l'anima funebre del neoclassicismo, a rappresentare intimamente il quale vale forse più il monumento per Maria Cristina d'Austria che la Paolina venerea.
Tuttavia c'è almeno un'opera canoviana in cui la violenza e la morte sono tutt'uno con lo sfogo di sensualità addirittura stravolgente, ovvero quel Teseo sul Minotauro che consacrò il quasi esordiente come nuovo greco al passo con i nuovi tempi. Il vincitore, morbido e muscoloso a un tempo, fa pensare alle estasi di Walter Siti sui ritmi curvilinei femminei dei corpi dei culturisti in Scuola di nudo, e la vittima sensuosa e ferina sopporta l'eroe seduto sul suo pube con la pazienza spenta della morte e forse con il deliquio delizioso di un congiungimento carnale. Non turbiamo ulteriormente questo mistero che mandò in visibilio gli spettatori che lo videro per primi nel 1783, cogliendovi il bello ideale che ormai reclamava il nuovo gusto, ma non rinunciando forse a tutte le ambiguità che la carne risvegliava nel marmo. Roberto Gigliucci

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Conosci l'autore

Antonio Canova

1757, Possagno

Antonio Canova è stato uno scultore e pittore italiano, considerato universalmente il massimo esponente del Neoclassicismo in scultura. Dedicò la vita alla bellezza e all’arte, cavalcando le correnti più in voga dell'epoca. Riuscì a coniugare classicità e contemporaneità, conquistando gli ambienti artistici e aristocratici più importanti.Con Amore e Psiche divenne uno dei più apprezzati scultori d’Europa. La sua fama era tale e tanta che dovette cambiare bottega, perché davanti alla sua porta si ammassavano curiosi e ammiratori provenienti da ogni dove. Il committente John Campbell, non poté portare in Scozia l’opera. Ma altri migliori offerenti non si fecero attendere. Fra loro, Nikolaj Jusupov, per conto...

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