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Nella percezione diffusa, la scuola è un sistema piramidale che fa capo al ministero centrale della Pubblica Istruzione. Ma non è sempre stato così. Ad esempio la scuola elementare è nata e si è sviluppata quale competenza comunale. Solo lentamente, e a fatica, si formava l'amministrazione scolastica, ma il livello locale rimaneva irrisolto tra le competenze di controllo statali e le competenze di gestione comunali, con mille conseguenze nello sviluppo dell'istruzione, nella applicazione dell'obbligo, nella contestualizzazione istituzionale, nella specificazione didattica, nel trattamento degli insegnanti.Con la legge Daneo-Credaro del 1911, nasce il sistema scolastico e vengono parzialmente passate allo Stato le scuole elementari, ma molti comuni, in particolare i capoluoghi di provincia, continuarono a gestire le loro scuole fino al 1933, quando il fascismo le statalizzerà tutte e renderà gerarchici tutti gli organi di gestione scolastica.Mancava fino ad oggi uno studio dettagliato del dibattito del 1911, che si interroga, retrospettivamente, su cosa fosse stato il decentramento nell'educazione e, prospetticamente, su cosa avrebbe dovuto, o potuto, essere l'istruzione statale. La questione concerneva, tra l'altro, l'identità della scuola, la forma dello Stato, la struttura dei poteri locali, la distribuzione delle competenze.La ricerca dettagliata di Silvia Angelini, svolta con un lavoro di prima mano sulle fonti, colma un vuoto e rilegge quel passaggio storico.Lo studio introduttivo di Dario Ragazzini reinterpreta i problemi della storia della scuola e dell'amministrazione scolastica come problemi dello Stato.Questi temi storici assumono grande interesse e nuovi significati, oggi, nel contesto delle discussioni sulle riforme istituzionali, sulla ridislocazione dei poteri elettivi e amministrativi, sul riconoscimento di poteri locali autonomi e sulla ridefinizione, anche in ambito educativo e scolastico, dei rapporti tra centro e periferia.
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