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una scrittura poderosa, un'ironia arguta e spiazzante, fanno di questo romanzo una strana ma affascinante creatura.
Recensioni
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recensione di Pent, S., L'Indice 1990, n. 6
L'ironia, la dissacrazione, quel misurare da un disincantato "altrove" vizi e grettezze del nostro costume sociale - dalla politica alla scuola ai consumismi - caratterizzano rarissime voci nella recente narrativa. 0ltre la genuina continuità di Stefano Benni, dobbiamo forse approdare, per trovare conferma in tale direzione, all'esordio letterario di Michele Serra, un Serra comunque ancora più spontaneamente incisivo in sede satirico-opinionistica.
Esaurite da tempo in peregrinaggi padani le comiche lunari di Celati, accantonate nel limbo dei "minori" le voci dei Mastronardi e dei Bianciardi, scrivere in modo intelligente e far sorridere sembra più che mai prerogativa trascorsa o datata, relegata a letteratura di secondo piano, virgolettata con sufficienza in termini di "umorismo". Ma come preferiremmo avere, oggi, un Campanile o un Palazzeschi o i deliziosi aforismi di Ennio Flaiano in luogo di tanti sapientini laureati, corretti ma intercambiabili.
Narrativamente parlando le risate migliori - ma quanto realistiche e graffianti - ce le offerse in toni autobiografici l'analisi di un anno scolastico del professor Starnone Domenico, che con "Ex cattedra" fotografò in modo unico lo sfacelo della scuola italiana, documentato da un settembre a un giugno senza tragedie o trionfalismi profetici: ovvero, come piangere delle patrie disgrazie ridendoci su.
Affrettatosi a produrre un vero romanzo, Starnone dimezzò il punteggio positivo con "Il salto con le aste": la falsa lettera di Calvino su cui gioca l'esile trama, percorre un po' a disagio le schermaglie rammollite di un gruppo di veterani sessantotteschi che si trovano a fare conti di quarant'anni con la vita. Ma anche qui l'ironia, uno stile originale e il sottofondo scenico ancora una volta grottesco dell'ambiente scolastico, riuscivano a condurre felicemente in porto una storia tutto sommato già sentita.
E ora ci riprova a raffica il professor Starnone - che Feltrinelli l'abbia assunto a cottimo? - inaugurando oltretutto, insieme a un ennesimo Bukowski e al giallista Hadley Chase, la collana dei "Canguri".
"Segni d'oro" è un romanzo breve, agile, godibile. Venato d'ironia. A tratti amaro, a tratti delicato. Con qualche punta di sincera nostalgia. Questo, forse, già ne farebbe un candidato alla piena promozione, visti i presupposti della maggior parte dei nostri romanzi. Ma c'è un che di provinciale - è un bene? - nella vicenda del bibliotecario di Montemori presso Roma che si trova invischiato in beghe locali in occasione del centenario della nascita del benefattore locale - l'industriale Sani Mortella, votato già negli anni trenta ad un sano inquinamento idrico - ci fa rimpiangere la goliardica rappresentazione della vera provincia scolastica nazionale di "Ex cattedra".
C'è un tono costante di déjà-vu nella crisi matrimoniale del narrante nella fuga in Veneto alla ricerca del lontano peccato carnale dell'industriale, nella storia d'amore di pochi giorni e una notte con Elena Morone, nell'incertezza del ritorno a casa, nella finale constatazione di una perenne infelicità.
Si respira molta recente narrativa italiana in questo nuovo Starnone, mentre sarebbe un bene se Starnone preferisse restare nel poco affollato olimpo dei cani sciolti, anziché saltare il fosso ad ogni costo ed intrupparsi, abbassando tiro e pretese. L'ironia rasenta infatti la battuta occasionale, le citazioni dei poeti classici, che dovrebbero risultare divertenti nelle vicissitudini private del protagonista, alla lunga sono eccessive. E le modeste vicende della crisi in giunta comunale, dell'opuscolo che ricostruisce il "peccato" dell'industriale, fino alla patetica truffa scoperta in chiusura, appartengono ad una sfera narrativa un po' troppo asfittica e privata.
Rimane comunque, di positivo, uno stile ancora una volta riconoscibile e personale - pregio non indifferente - un senso del tempo che passa sapientemente filtrato in poche osservazioni essenziali, un coinvolgimento amichevole del lettore che si accompagna al protagonista come a un goffo e ingombrante compagno di strada. In questo occorre sottolineare che si fiuta qualcosa del Bobo di Staino nei personaggi dei libri di Starnone: tutti hanno atteggiamenti smarriti da vecchi reduci, tutti sembrano rassegnati a vivere circondati dagli inganni e dalle brutture di una società frettolosa e venale. Gravitano in un loro mondo di ideali non realizzati, sognano senza più voglia - se mai l'hanno veramente avuta - di lottare per emergere.
Ciò non toglie a "Segni d'oro" il merito di lasciarsi leggere in fretta e col sorriso sulle labbra. Meno autocompassione e più vivaci contestazioni - a suon di risate - sembrano comunque per ora le carte vincenti dello scrittore. Il riaggancio ad uno schietto autobiografismo - nel caso di Starnone, almeno - potrebbe gestire senza cadute di tono una personalità narrativa niente affatto banale, distinta e distinguibile.
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