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Un gruppo di pedagogisti, sociologi, filosofi e antropologi, coordinati da Besoli e Caronia ha prodotto una riflessione a più voci di grande acutezza e spessore. Non si tratta di una somma di saggi, perché essi condividono una presa di responsabilità rispetto a un momento storico in cui sia le persone comuni sia i ricercatori sembrano ripiegare sul fare-come-al-solito, e quindi obbedire a una presunta natura, che non è se non l’ovvio costruito dalle abitudini. È cruciale rendersi conto che ci sono procedure, schemi interpretativi, routine, che costituiscono il nostro ambiente e preformano molto della nostre impressioni, percezioni, convincimenti, ma rimangono opache e non riconosciute, sia nella vita quotidiana che nella ricerca scientifica. L’ovvio, invece di essere interrogato, viene accettato e praticato, nonostante molti spunti filosofici e sociologici del 900, da Husserl a Schutz agli etnometodologi. Richiamandosi a Husserl qui si torna a rilevare la necessità di interrogare l’ovvio del senso comune e anche delle abitudini di laboratorio scientifico, permettendone l’indagabilità critica; né si tratta di una mera riflessione di metodo, perché i numerosi esempi tratti dal proprio lavoro quotidiano indicano aperture critiche e alternative ai percorsi della ricerca scientifica. In particolare, risulta prezioso il contributo di Letizia Caronia, capace di cogliere la dimensione morale insita nelle procedure di ricerca e di mostrare come affidandosi a definizioni operative i ricercatori si illudano di garantire l’oggettività della descrizione e in realtà spesso incorrano in un’illusione epistemologica. In anni di esigua discussione pubblica sulla moralità della ricerca e quindi di scarsa responsabilizzazione di ricercatori, il lavoro articolato e l’intento condiviso di questo libro spinge a non accettare l’alibi della presunta “neutralità” della ricerca e a dare senso alle domande sui presupposti del lavoro intellettuale.
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